Oggi alle 18 al teatro Coppola si svolgerà un incontro sulla vicenda di Francesco Mastrogiovanni, il maestro elementare morto nel 2009 durante un ricovero per tso, trattamento sanitario obbligatorio. La sentenza del processo a carico di 18 imputati tra medici ed infermieri si attende per il 30 ottobre. Ospiti dell'evento due esponenti dell'antipsichiatria
La storia di Mastrogiovanni, morto di tso «Non ci sono malati di mente ma persone»
Un maestro elementare con un passato da anarchico che ha attraversato periodi di depressione. Scomparso a 58 anni durante un ricovero per un trattamento sanitario obbligatorio in psichiatria. Era Francesco Mastrogiovanni, morto nel 2009 nell’ospedale psichiatrico di Vallo della Lucania in provincia di Salerno. Della sua vicenda si parlerà oggi alle 18 al teatro Coppola di Catania assieme a Giuseppe Bucalo del Comitato di iniziativa antipsichiatrica e presidente dell’associazione Penelope, e Natale Adornetto, psicologo, antipsichiatra e membro del Comitato verità e giustizia per Francesco Mastrogiovanni.
Il 31 luglio 2009 Mastrogiovanni è stato prelevato dalle forze dell’ordine in un campeggio del Silento dove si trovava in vacanza. Il sindaco del comune di Pollica, Angelo Vasallo (il sindaco del Pd ucciso nel 2010 in un attentato la cui sospetta matrice camorristica è tuttora oggetto di indagini da parte della magistratura) ne ha ordinato il tso perché sembra avesse disturbato la quiete pubblica guidando in maniera spericolata. All’ospedale si mostra collaborante e non aggressivo, ma lo legano mani e piedi al letto per più di 82 ore consecutive. Verrà slegato solo dopo la sua morte per edema polmonare. A testimoniare la sua agonia un filmato pubblicato per volere dei familiari nel sito dell’Espresso. «Si vede chiaramente che non gli danno da mangiare né da bere, che non lo controllano ogni 15 minuti come previsto dal protocollo e che è in una condizione di perdita di dignità», dice Adornetto. Impossibile non pensarlo alla vista di un uomo alto più di un metro e 90 – i suoi alunni lo chiamavano «il maestro più alto del mondo» – nudo o con addosso solo un pannolone, che sanguina per via dei lacci ai polsi e alle caviglie. Quando il sangue tocca terra qualcuno lo pulisce, nessuno però lo asciuga dal suo corpo.
Ma le immagini non bastano a condannare i 18 imputati tra medici e infermieri che sono sotto processo per la morte di Francesco Mastrogiovanni. Un processo arrivato alle fasi finali, la cui sentenza è prevista per il prossimo 30 ottobre. «Ad aggravare la situazione il comportamento del Pm – racconta Natale Adornetto – che difende gli imputati, ritenendo insussistente il reato di sequestro di persona e derubricando il reato di morte come conseguenza di altro delitto a omicidio colposo. Nell’ultima udienza del 2 ottobre – prosegue – ha ripetuto che quello a cui è stato sottoposto il maestro elementare è un trattamento medico».
Partendo dalla vicenda di Mastrogiovanni al teatro Coppola si parlerà proprio dell’operare psichiatrico, di quali sono gli scopi della psichiatria, degli psicofarmaci e i loro effetti e delle conseguenze degli interventi psichiatrici. «Spesso chi è sottoposto a cure di questo tipo non lo sceglie ed è costretto – dice Adornetto – perché è considerato incapace di intendere e di volere». Questo è il primo errore per lo psicologo antipsichiatra, per cui tutti hanno diritto di scegliere se sottoporsi o meno a dei trattamenti. «La base per la cura è il consenso, altrimenti non serve a niente», dice. Per Adornetto «i malati di mente non esistono: sono persone che hanno pensieri distorti secondo chi segue una logica di normalità, ma il loro comportamento è conseguenza di disagi, di malesseri». Per curarli quindi si deve trovare la causa. Per questo Adornetto e gli altri antipsichiatri reputano gli psicofarmaci spesso «inutili, perché agiscono sui sintomi e non sulle cause», spiega.
L’appuntamento al Coppola è solo uno degli eventi organizzati dal gruppo degli antipsichiatri per informare sui rischi della psichiatria e far conoscere storie come quella di Mastrogiovanni. Un caso non isolato, purtroppo. «Questa vicenda si è venuta a sapere perché i parenti si sono interessati – afferma Adornetto – negli altri casi qualcuno scrive sul referto medico “arresto cardiaco” e nessuno saprà mai la verità».
[Foto di a cliff1066]