L’università e la meritocrazia: parla chi ha denunciato «Cattedre pulite per salvare credibilità degli atenei»

«Servono adesso cattedre pulite, un po’ come quando scoppiò Tangentopoli». Giambattista Scirè è diventato di colpo l’uomo del «ve l’avevo detto». Suo malgrado. «Non ho di certo brindato, quando accadono queste cose ci vanno di mezzo le istituzioni. Amareggiano i metodi che venivano usati, basta sentire le intercettazioni». Ma oggi, in ogni caso, un cerchio si è chiuso. «Questa inchiesta mi ha dato la conferma di qualcosa che già allora avevo il sentore fosse una certezza. Ho pagato sulla mia carriera, non lavoro più, ma adesso so di avere fatto la cosa giusta».

Otto anni fa lo studioso ambiva a diventare un ricercatore di Storia contemporanea dell’università di Catania, nella sede ragusana dell’allora facoltà di Lingue. Si vide sbarrare la strada da una candidata laureata in Architettura. Sia la giustizia amministrativa che quella penale, una volta iniziata la battaglia nei tribunali, finora hanno dato credito alla sua azione. Lo scorso aprile i commissari che lo bocciarono sono stati condannati a un anno di reclusione ciascuno. Nelle motivazioni si legge che i componenti della commissione giudicatrice, ritenuti colpevoli di abuso d’ufficio, avrebbero agito con la consapevolezza «di violare la legge». Obiettivo: favorire un’architetta attraverso «la manipolazione della realtà», a scapito di chi aveva invece dedicato alla storia l’intero curriculum di studi, se non la propria vita. E poteva dunque giocarsi un posto da ricercatore con tutte le carte in regola. 

Ecco perché Scirè oggi sente di poter camminare ancora più a testa alta. Siamo solo all’inizio, tutti sono innocenti fino a prova contraria, e infatti il punto non sono i singoli indagati e le fattispecie dell’inchiesta Università bandita della procura di Catania. Costata la sospensione dal suo incarico al rettore dell’Università etnea Francesco Basile, all’ex rettore Giacomo Pignataro e ai direttori dei principali Dipartimenti dell’ateneo, fino a coinvolgere una sessantina di indagati. «Il punto – spiega Scirè a MeridioNews – è che quello che oggi è stato documentato era già successo, ma adesso capiamo di essere di fronte a un sistema fatto per non premiare il merito».

L’ex aspirante ricercatore, dopo avere denunciato e abbandonato il mondo universitario, è diventato il volto dell’associazione Trasparenza e merito, punto di riferimento nazionale per coloro che intendono sfidare il verdetto di concorsi universitari ritenuti taroccati rivolgendosi ai tribunali. Basta la voglia di rivalsa del singolo per mandare in archivio quello che, secondo il procuratore capo Carmelo Zuccaro, è un «sistema criminale» fondato sul nepotismo? «Certo è che l’università serve a formare la classe dirigente – risponde Scirè – e non possiamo abbatterla. Occorre fare in modo che la parte buona dell’istituzione, che magari finora si è girata dall’altra parte perché ha sempre visto andare le cose in un certo modo, si convinca a ripartire da un meccanismo nuovo». Che non può essere la cooptazione istituzionalizzata, ovvero il rapporto maestro-discepolo come unica via di selezione dei docenti. «In Italia non funziona così, ci sono i concorsi pubblici. Scegliendo la cooptazione invece tutti dovrebbero responsabilizzarsi. Quando poi la persona prescelta non si dovesse dimostrare all’altezza, allora dovrebbe pagare chi lo ha scelto».

In realtà, secondo Scirè, il cambiamento scuote da anni il moloch dell’università italiana. «La legge Gelmini, nefasta sotto tanti aspetti, aveva limitato il peso della discrezionalità nei concorsi ponendo anche le basi per il contenzioso cui molti come me si sono appellati». La strada da seguire, in un certo senso, c’è già. «Adesso andrebbero aboliti i concorsi locali: servono solo procedure nazionali con commissioni di almeno dieci membri sorteggiati in tutto il Paese». Poi servirebbe rivedere il funzionamento dei criteri di valutazione: «Sul peso di titoli, pubblicazioni o dottorati ci vogliono criteri certi, determinati da griglie per forza di cose ministeriali». Qualcosa deve accadere, ribadisce Giambattista Scirè: «D’altronde è nell’interesse della stessa istituzione universitaria, per ricrearsi un minimo di credibilità». Non si può fare finta di niente: «Altrimenti calerà ancora il numero degli iscritti. Servono cattedre pulite».


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