Voti dai clan, archiviata l’indagine su Pellegrino Cadono le accuse anche sui politici dell’Acese

Gli indizi non sono sufficienti a sostenere l’accusa in un processo. Si conclude così il filone d’indagine sul voto di scambio politico-mafioso che, un anno fa, aveva coinvolto una serie di politici dell’area etnea, tra i quali Riccardo Pellegrino, l’ex consigliere comunale di Catania nonché aspirante deputato regionalesindaco. I magistrati Tiziana Laudani e Marco Bisogni, ad aprile, hanno chiesto e ottenuto l’archiviazione del procedimento nato da uno stralcio dell’inchiesta sulla corruzione elettorale semplice, per cui è in corso il processo di primo grado e che vede tra gli imputati oltre a Pellegrino, anche gli ex sindaci di Aci Catena e Mascali, Ascenzio Maesano e Biagio Susinni.

Per gli inquirenti, Pellegrino e il padre Filippo – anche lui sotto processo, e archiviato nel secondo filone – avevano potuto ottenere voti non solo tramite una compravendita con singoli cittadini, ma anche con il coinvolgimento della criminalità organizzata. Tuttavia tale ipotesi, dopo oltre un anno di accertamenti, non ha portato a nulla di concreto.  A essere archiviate sono state anche le posizioni dell’ex sindaco mascalese e dell’ex deputato regionale ripostese Nino Amendolia. Nel corso dell’indagine, gli investigatori hanno cercato elementi utili anche nei cellulari di Pellegrino e Susinni, ma l’analisi ha dato esiti negativi. Cade l’accusa di voto di scambio politico-mafioso anche per Salvatore Andronico e Sebastiano Brischetto, quest’ultimo padre della candidata leghista che ha corso alle Comunali 2018 di Acireale e, in passato, impegnato in prima persona nella politica locale.

Secondo i magistrati – questa è la tesi che viene portata anche all’interno del processo per corruzione elettorale – Pellegrino sarebbe riuscito ad allacciare contatti nell’Acese e nella costa ionica in vista delle Regionali del novembre 2017 dopo che Maesano, a seguito dell’arresto avvenuto l’anno prima, era stato tagliato fuori dalla corsa all’Ars. Ed ereditando di fatto il suo consenso. Il nome del giovane politico, originario del quartiere catanese di San Cristoforo, era stato già accostato alla mafia in seguito alla condanna del fratello in primo grado nel processo Ippocampo contro il clan Mazzei.

L’elenco delle posizioni archiviate è comunque più lungo. A essere stati indagati per avere ottenuto in tempi passati voti dalla mafia sono stati, infatti, diversi politici di Aci Catena. In questo caso, a spingere i magistrati a guardare al territorio catenoto sono state anche le parole di Mario Vinciguerra, ex reggente dei Santapaola da qualche anno passato a collaborare con la giustizia. Tra gli indagati c’era Francesco Petralia, attuale consigliere comunale e in passato candidato primo cittadino, nonché vicesindaco ai tempi dell’amministrazione guidata da Pippo Nicotra, l’imprenditore ed ex deputato regionale Pd che attende l’imminente inizio del processo per i rapporti che avrebbe intrecciato per decenni con la famiglia Santapaola. Archiviate anche le ipotesi di reato nei confronti degli ex consiglieri Giuseppe Caponetto e Michele Puglisi, e di Giuseppe Panebianco, quest’ultimo non impegnato direttamente in politica. 

Infine, i magistrati hanno deciso di non procedere nei confronti di altre cinque persone – originarie dell’Acese, di Adrano e di Troina – per le quali in principio l’ipotesi era di corruzione elettorale semplice. Tuttavia i loro nomi sono stati tirati in ballo soltanto indirettamente dagli indagati del filone principale e nessun nuovo elemento è emerso dall’approfondimento giudiziario.


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