La fondazione, nata per volere dellimprenditore di idrotermosanitari con la passione per larte Paolo Brodbeck, è una delle poche realtà che offre lopportunità di avvicinarsi allarte contemporanea a Catania. Il suo direttore artistico, Gianluca Collica, sarà uno dei protagonisti della giornata evento Get on Board, Get on Air che si terrà oggi a partire dalle 16.30 al Centro Zo per presentare alla città Radio Lab. Dialogherà su cultura e impresa con il professore di economia politica delluniversità di Catania, Maurizio Caserta. CTzen lo ha intervistato
Brodbeck, arte e impresa a San Cristoforo Il direttore: «Puntare su ricerca e eccellenza»
Investire nella cultura a Catania. È questa la scommessa della fondazione Brodbeck, una delle poche realtà che dà lopportunità di fruire di arte contemporanea nella città etnea. Costituita nel 2007 per volontà della famiglia dellimprenditore di termoidrosanitari Paolo Brodbeck, ha lo scopo di «produrre e presentare opere di artisti in grado di modificare i confini del fare arte». E lo fa in uno dei quartieri catanesi più problematici. La sua sede si trova infatti all’interno di un complesso postindustriale situato nel quartiere storico di San Cristoforo, che la fondazione vuole trasformare in un polo di riferimento per larte contemporanea. Un’area di 6 mila metri quadri che risale alla fine dell’Ottocento e di cui attualmente sono stati ristrutturati 600 metri quadri destinati a spazi per mostre temporanee, residenze d’artista, foresteria e un laboratorio progettuale.
Della fondazione e delle difficoltà per chi vuole fare impresa con la cultura a Catania abbiamo parlato con Gianluca Collica, direttore artistico della fondazione che oggi sarà ospite di Get on board. Get on air, levento di presentazione di Rabio Lab, che si terrà oggi a partire dalle 16.30 al Centro culture contemporanee Zo.
Com’è nata la fondazione e qual è il suo scopo?
«La fondazione è nata dal desiderio mio e di Paolo Brodbeck di essere parte attiva nel mondo dell’arte contemporanea e di conseguenza per inserire la Sicilia all’interno di un contesto più attuale e progettuale che le consentisse di dialogare ai massimi livelli del sistema internazionale dell’arte, con chiari benefici non solo per la comunità artistica locale, ma più in generale per l’intera popolazione».
La sede della fondazione è in un quartiere noto soprattutto per le sue problematiche e il complesso che ospita i locali ha una sua storia. Come mai è stata scelta proprio questa sede e come rispondono i locali di un complesso postindustriale alle esigenze dell’arte contemporanea?
«Mentirei nel dire che si è trattato di una scelta meditata e strategica. È stato un puro caso, una buona opportunità immobiliare che si è trasformata in brevissimo in un progetto mecenatistico. Dopo tre anni di attività devo comunque dire che mai il caso è stato tanto benevolo visto che il quartiere è una straordinaria palestra di vita e un contesto pieno di stimoli per gli artisti che noi invitiamo in residenza. Inoltre la nostra intrusione dopo una iniziale e naturale diffidenza, è stata accolta con grande interesse delle persone oneste che vivono quella che possiamo definire una città all’interno di Catania».
Quindi la fondazione ha un buon rapporto con il quartiere? Insomma San Cristoforo purtroppo è noto per la criminalità e la dispersione scolastica, non certo per la cultura. La fondazione è riuscita ad integrarsi pur con le sue peculiarità o rimane una realtà isolata?
«Questa domanda anche se è una sorta di tormentone nelle interviste, mi offre l’opportunità di esprimere un concetto molto importante, la diffidenza di cui accennavo sopra è dovuta principalmente al timore degli abitanti del quartiere di essere nuovamente raggirati con false promesse e invitati ad abbandonare le loro case vecchie e decrepite, per un nuovo quartiere modello. Molti di loro provengono dal centro storico della città da loro volontariamente, diciamo così, abbandonato per Librino. La nostra presenza attiva nella quotidianità del quartiere li ha convinti della nostra scommessa di investire in cultura a Catania partendo da luoghi dove si trova maggiore sostegno e apertura. Grazie all’interessamento degli artisti e della municipalità del quartiere abbiamo trasformato in area pedonale una discarica abusiva situata a ridosso della scuola elementare Tempesta. La manovalanza e le professionalità necessarie alle attività da noi svolte le troviamo nel quartiere. Per le inaugurazioni i portoni della fondazione sono aperti a tutti e fino ad oggi in tre anni non abbiamo registrato nessun tentativo di rapina o altro né per noi né per i nostri visitatori. La nostra presenza responsabilizza ancor di più le autorità preposte al controllo dell’area, insomma la fondazione ha una parte attiva, ma non invadente in un processo di riqualificazione e decoro per il quartiere».
A Catania non ci sono molte realtà che danno l’opportunità di avvicinarsi all’arte contemporanea. Come risponde la città al lavoro della Fondazione?
«Su questo aspetto c’è molto da lavorare, ma più che alla città do la colpa a noi operatori che non siamo riusciti ancora a trovare le giuste motivazioni per attirare attenzione, credito e di conseguenza sostegno. Occorre affrontare la cosa partendo da una forte autocritica sulla nostra identità e capacità di comunicare, cercando di individuare i punti di contatto con la città che per molti anni è stata abbandonata culturalmente a se stessa. Ad ogni modo abbiamo attivato una serie di programmi didattici aperti ad adulti e bambini, ancora dei moduli embrionali, ma molto incoraggianti».
Quali sono le maggiori dfficoltà che deve affrontare chi si occupa di cultura di questi tempi e, più strettamente al contesto, chi se ne occupa nella nostra città?
«I tempi chiaramente sono molto difficili, tuttavia la cultura è abituata a operare a bassi budget. Le problematiche sono tante e difficili da sintetizzare. Io preferisco ricondurre tutto ad un concetto: l’Italia è un paese che non sostiene la ricerca artistica, ma sostiene di più lo spettacolo. È la ricerca che sta alla base di qualsiasi sviluppo sociale ed economico, se non la si sostiene è la fine. I nostri spazi come pochi altri in Sicilia sostengono e producono ricerca artistica e come tutte le ricerche anche la nostra non è in grado di autosostenersi. Occorrono quindi investimenti pubblici e privati. Negli ultimi anni nelle arti visive si sono fatti molti passi in avanti, cominciando dall’impegno di molti piccoli e grandi Brodbeck che sostengono con passione e coscienza la necessità del sostegno alla ricerca avviando progettualità sempre più qualificate e strategiche. Tuttavia siamo ancora ai piedi della montagna e la politica deve avere maggiori competenze in merito e la capacità di utilizzare al meglio gli strumenti finanziari che l’Europa ha messo a disposizione senza i quali difficilmente realtà come la nostra potranno incidere positivamente nel quotidiano».
Il tema del workshop che la vedrà partecipare assieme al prof. Caserta oggi pomeriggio è fare impresa con la cultura. Si può fare a Catania o chi vuole farlo deve comunque contare su sostenitori privati e facoltosi per poter andare avanti, magari perché col pubblico è complicato dialogare? Le attività della fondazione sono infatti possibili grazie ai suoi sostenitori, no?
«Come appena detto sono dellopinione che se non si sostiene la ricerca ogni possibilità di sviluppo economico e sociale è precluso, nel nostro settore verrebbero a mancare le ragioni di fondo del fare cultura e gli strumenti per rendere i prodotti artistici eccellenti qualitativamente, unici ed esclusivi. Solo sull’eccellenza è possibile costruire strategie economiche partendo dalla cultura come elemento catalizzatore».
Molti pensano che i vostri sostenitori siano di nicchia perché l’arte contemporanea non è per tutti, è così?
«Un giorno feci una visita guidata per una mostra al Museo Civico Castello Ursino e di fronte ad uno specifico quadro chiesi a tutti di aiutarmi a ricordare il nome dell’autore, dopo un finto sforzo mnemonico, urlai: LOréal, e una soddisfatta esclamazione si levo naturale tra le 50 persone in visita, tutti lo riconobbero senza alcun dubbio. Chiaramente si trattava di un dipinto di Mondrian di cui la casa di cosmetica aveva utilizzato struttura e colori per la pubblicità delle gelatine per capelli. L’arte è dentro la nostra vita più di quanto la paura di non capire ci fa dire».
[Foto di Fondazione Brodbeck]