Nuovi elementi confermano la tesi della Procura sull'attentato sventato un mese fa contro un magistrato della Dda di Catania. A idearlo era stato Orazio Finocchiaro, membro emergente dei Caratteddi, una frangia del clan dei Cappello-Bonaccorsi. L'obiettivo era liberarsi del Pm che aveva concluso l'operazione Revenge del 2009 contro il proprio clan e acquisire potere all'interno della famiglia
Uccidere un magistrato per scalzare i boss Altri pizzini sull’attentato al pm Pacifico
Una nuova ordinanza di custodia cautelare – dopo quella del 22 marzo scorso – per Orazio Finocchiaro, l’uomo accusato di progettare l’uccisione di Pasquale Pacifico, magistrato della sezione distrettuale antimafia di Catania. A confermare l’accusa di associazione mafiosa sarebbero, adesso, altri pizzini acquisiti nel corso delle indagini, dai quali emerge chiaramente l’obiettivo di Finocchiaro: eliminare il magistrato catanese per acquisire maggiore potere all’interno del proprio clan, i Cappello-Bonaccorsi.
«Fratello, vedi che quel cesso non deve vivere fuori. Hai tutto quello che ti serve, buttagli 32 colpi in testa», scriveva Finocchiaro, dal carcere di Udine dove si trova detenuto al 41 biss, al complice che avrebbe dovuto eseguire l’omicidio.
«L’attentato era un tentativo per presentarsi come nuovo capo. Voleva raggiungere un ruolo di vertice nella famiglia», ha detto il procuratore capo, Giovanni Salvi, durante la conferenza stampa. Finocchiaro, infatti, avrebbe progettato l’azione criminosa di sua iniziativa, con l’intenzione di prendere il posto dei boss Sebastiano Lo Giudice e Orazio Privitera, anche loro in carcere.
«Finocchiaro si difende dalle accuse dicendo di non essere stato lui a scrivere i pizzini, ma che altri al suo posto avrebbero riportato per iscritto i messaggi – continua il procuratore – Ma negli interrogatori non c’è mai stata alcuna negazione del fatto che il contenuto dei biglietti rappresentasse le sue intenzioni. E questo conferma le nostre ipotesi iniziali».
Nel frattempo vanno avanti le indagini della Procura, inizialmente affidate all’autorità giudiziaria di Messina, e ora passate in mano a quella etnea perché gli elementi a disposizione profilano «un reato mafioso contro l’ordine pubblico», chiarisce Salvi. La parte offesa, quindi, non sarebbe il magistrato Pasquale Pacifico verso cui Finocchiaro, con l’appoggio della famiglia, progettava l’attentato, ma l’intera istituzione giudiziaria. D’ora in poi, perciò, le indagini continueranno sotto la guida della Procura catanese.