Lontani dalle polemiche tra archistar, gli studenti catanesi immaginano la città che vorrebbero vivere. Alla facoltà di Ingegneria edile e architettura, per un esame, alcuni di loro hanno immaginato una porzione del waterfront, quella che va dall'istituto tecnico nautico a piazza Mancini Battaglia, mettendoci piazze e piscine. «Ideale, ma possibile», dicono. Guarda il video
Ripensare il lungomare? Materia d’esame «Università laboratorio per progetti reali»
A Catania il mare non si vede. A tentare di guardarlo si incrociano cantieri aperti di parcheggi sequestrati e dissequestrati in attesa di processi d’appello e lingue d’asfalto che, in progetti momentaneamente sospesi, dovevano essere inglobate in centri commerciali con vista privilegiata sul Mediterraneo. A Palazzo degli Elefanti il waterfront è una questione spinosa, tanto che in sede di discussione del nuovo piano regolatore generale è stata saltata a piè pari. Eppure di cose da fare ce ne sarebbero tante, i progetti non mancherebbero, le buone idee nemmeno. Soprattutto se a pensarle, ogni tanto, si impegnasse l’università. Lontana dalle polemiche con le archistar, tra progetti firmati e da firmare.
[vimeo]http://vimeo.com/38524066[/vimeo]
Gli studenti del corso di Architettura e composizione architettonica III, della facoltà di Ingegneria edile e architettura di Catania, per esempio, se vogliono superare l’esame devono immaginare un waterfront nuovo. «Il tema è lo stesso da diversi anni», spiega Sara Tornabene, 24 anni. Insieme ai suoi sei colleghi Simone Bucca, Simona Calì, Federica Chines, Roberto Leonti, Andrea Maugeri e Andrea Tornabene, di età compresa tra i 23 e i 28 anni Sara ha iniziato a lavorare a ottobre per immaginare un futuro ideale ma possibile per la zona di Catania che va da viale Artale Alagona, all’altezza dell’istituto tecnico nautico, fino a piazza Mancini Battaglia, all’incrocio con viale Ulisse. «La premessa fondamentale era quella di eliminare il ponte di Ognina racconta la studentessa perché è l’elemento che dagli anni Sessanta in poi ha creato più problemi, perché taglia il tessuto urbano». Partendo da questo elemento, il progetto ha preso forma e colore.
«Eliminando il ponte si libera tantissimo spazio, che abbiamo dovuto gestire: abbiamo pensato di recuperare il mare e ripensare il porticciolo». E poi hanno ipotizzato degli spazi da vivere. «Lo slargo di fronte al nautico, per esempio, è un parcheggio», afferma Sara Tornabene. E loro ci hanno visto una piazza che degrada verso il mare, con piattaforme solarium inserite in un percorso che attraversa gli scogli. Poco spazio alla strada, per darlo ai pedoni: «Ripensando la viabilità, abbiamo ristretto la carreggiata di piazza Mancini Battaglia a una sola corsia, creando uno spazio che unisca gli interessi del pubblico con quelli dei privati che lì hanno le loro attività».
L’intervento pensato dagli studenti è delicato, «perché vede il rifacimento di grandi porzioni di città, ma non è costoso né invasivo». L’obiettivo è esaltare le caratteristiche latenti di una parte della città «in cui non c’è nulla: adesso i bambini giocano in mezzo ai motorini che camminano in quella che dovrebbe essere una piazza». «I cittadini sentono l’urgenza del mare», e un architetto che pensa al waterfront dovrebbe saperlo, così come lo sanno gli studenti. «Abbiamo guardato e riguardato progetti realizzati in tutto il mondo, per capire come superare gli ostacoli e riuscire a realizzare qualcosa di ottimo livello e sicura riuscita», spiega Sara. Da Barcellona in Spagna a Salemi in Sicilia, ridisegnando perfino le linee della pavimentazione e sfruttando la pietra lavica. I blocchi di lava diventano piscine che ricordano i frangiflutti e depurano l’acqua del mare.
«Parecchi anni fa venne chiamato a Catania perfino Oriol Bohigas, che si è occupato con successo del waterfront di Barcellona». Ma il problema, secondo Sara, è che replicare qualcosa che si è già fatto in altre città non tiene conto delle specificità di un territorio. «Magari si fanno progetti che apparentemente hanno grandi qualità, ma poi non rispettano le evoluzioni storiche dell’urbanistica cittadina». «Si dà poco peso a quello che può fare l’università»: il problema, secondo gli studenti, è questo. «Possiamo diventare un laboratorio di sperimentazione per progetti reali dice Sara Noi viviamo la città, disegniamo quello che vorremmo vedere nel posto che amiamo». E questo una archistar non può farlo.
[Immagini e video degli studenti]