Anche Palermo in piazza contro il disegno di legge Pillon «Si torna indietro di 50 anni, donne senza libertà di scelta»

«Il disegno di legge Pillon ci fa tornare indietro di 50 anni. E la ricaduta sulle donne vittime di violenza domestica è terribile. Se già molte donne non riescono a  denunciare perché nella coppia sono spesso i soggetti economicamente deboli, e quindi la separazione è già difficile di per sé per la donna che non è indipendente, con la proposta di cancellare l’assegno di mantenimento nel nome di una presunta condivisione di affido le donne non saranno più libere di poter scegliere». Alessandra Notarbartolo, del Coordinamento antiviolenza 21 luglio, è pacata e decisa allo stesso tempo nell’opporre un netto rifiuto al disegno di legge proposto dal senatore leghista Simone Pillon. Un ddl che, secondo la volontà dell’avvocato diventato celebre per aver ideato i Family day, intende riformare gli istituti dell’affido condiviso, del mantenimento diretto e la garanzia di bigenitorialità

E che invece – secondo la mobilitazione nazionale che si snoderà sabato 10 novembre in oltre 60 città tra sit-in, cortei, incontri pubblici e presidi – rischia di far retrocedere l’Italia sul tema dei diritti. Anche Palermo aderisce dunque alla piattaforma che vede fianco a fianco centri antiviolenza e organizzazioni sindacali, associazioni di donne e del terzo settore, movimenti quali Non una di meno, associazioni professionali, comitati cittadini formatisi ad hoc e associazioni che si occupano di infanzia. Il capoluogo siciliano sarà teatro di un corteo, con partenza alle 15.30 da piazza Croci, organizzato dal Coordinamento antiviolenza 21 luglio e sostenuto dal Coordinamento Palermo Pride. «La nostra opposizione è totale – spiega Notarbatolo – non c’è un solo punto del disegno di legge che secondo noi può essere migliorato, è del tutto deleterio. Chiediamo il ritiro di tutto il provvedimento». Resta il fatto che alcuni stralci del ddl Pillon fanno esplicitamente riferimento al contratto di governo Lega-5stelle, che le due forze di governo hanno blindato. Quindi a spingere fortemente per la sua approvazione, al di là dei lievi distinguo, è l’intera maggioranza. La battaglia contro la sua entrata in vigore, insomma, si preannuncia lunga e faticosa.

«Stiamo avendo sotto gli occhi – scrive in una nota il direttivo del Pride – la prima reale minaccia ai diritti di tutti gli italiani: il disegno di legge firmato da Pillon è profondamente maschilista e retrogrado, trova i suoi fondamenti su teorie che il senatore spaccia per scientifiche ma che non hanno alcun valore in tal senso e intende (ed è stato detto a chiare lettere dallo stesso Pillon) scoraggiare la separazione di due coniugi con qualunque mezzo, intende demonizzare il divorzio, intende ignorare gli episodi di violenza esacerbando un clima di ricatto al coniuge vittima tra le fila della procedura della separazione, intende introdurre la zampa del pubblico nelle case private e infine ignora le reali esigenze e necessità dei figli minori. Quello contro cui è necessario manifestare è un salto indietro nel tempo, a un tempo in cui il matrimonio non era un contratto rescindibile. È stato sufficiente leggere il testo integrale del ddl, disponibile online sulla pagina del Senato, per avere la certezza di doversi schierare affinché resti soltanto un’idea, malsana e regressiva, dettata da una concezione della politica come strumento del fanatismo religioso».

Eppure il disegno di legge Pillon è stato raccontato come un procedimento tecnico, che porta la firma di un avvocato cassazionista che ha anche conseguito un master proprio in mediazione familiare. Inoltre a sostegno della proposta di legge ci sono le associazioni dei padri divorziati che, almeno a loro parere, stanno portando avanti in questo modo una presunta disparità di genere – l’affido familiare, infatti, privilegerebbe eccessivamente la madre. «Sì, i padri separati ricchi – obietta Alessandra Notarbartolo, – perché solo loro, con questa proposta di legge, possono arrivare a una separazione o a un divorzio. C’è poi l’obbligo della mediazione per sei mesi, anche questa a pagamento dopo la prima consulenza gratuita. Quindi in partenza la prima discriminazione è sul piano economico». Non è la sola ragione d’opposizione. «I motivi sono tantissimi – continua – Quella che spacciano come tutela della bigenitorialità è in realtà una questione puramente ideologica: in questo modo infatti si punta a smantellare la legge sul divorzio e il diritto di famiglia. Non ci sono neanche i presupposti sociali, perché questa legge va a sfavore dei minori e in generale dei figli e delle figlie. Lo hanno confermato anche le organizzazioni di stampo cattolico».

Il ddl Pillon, in esame in questo momento a Palazzo Madama, introdurrebbe tra gli altri aspetti il consulente genitoriale e istituirebbe la legalizzazione dell’alienazione parentale, in contrasto con i pronunciamenti dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, che l’ha invece disconosciuta come patologia e l’ha riconosciuta come una scelta. Mentre nel disegno di legge si prevede che «se un genitore si rifiuta di vedere il figlio in automatico scatta l’imputazione per l’altro genitore, con un’inevitabile ricaduta sulla psiche dei bambini». Non solo: col disegno di legge «i bambini e le bambine dovranno essere sentiti e sentite alla presenza del giudice, con entrambi i genitori presenti e i rispettivi avvocati. Pensiamo quello che un bambino proverà quando dovrà esprimerà un giudizio, un parere, un sentimento e sapendo che i genitori lo stanno ascoltando. Sarà una strumentalizzazione totale dei bambini». 

Una legge sull’affido condiviso in ogni caso già esiste. «I dati Istat ci dicono che è una legge che funziona bene – spiega l’attivista – esattamente nell’87 per cento dei casi, laddove i bambini non vengono spostati ma sono i genitori che lo fanno in base alle loro esigenze». Tutto il contrario di quel che indica il disegno di legge Pillon, con i bambini che dovranno obbligatoriamente stare a metà (nel tempo di frequenza) tra i genitori, senza autonomia di scelta. «Senza stabilità, senza punti di riferimento. E quanti sono ad esempio i genitori che se lo possono permettere? Parliamo di situazioni del tutto improbabili». Lo Stato insomma si occuperebbe in prima persona della famiglia. «È un’ingerenza terribile – aggiunge Notarbatolo – e senza alcuna tutela. Fanno riferimento a una famiglia idealizzata che nella realtà non esiste». 


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