La mafia dimenticata, questo il titolo del volume dello studioso, racconta dell'uomo dello Stato che per primo riuscì a tracciare una mappa di gerarchie e mandamenti nella Conca d'Oro
Nel libro di Santino le intuizioni del questore Sangiorgi Teresi: «Sembra di leggere carte di processi attuali»
«Per più di ottant’anni – racconta Umberto Santino – autore del libro La mafia dimenticata – queste carte sono estremamente attuali del questore Ermanno Sangiorgi che ha lavorato a Palermo ricostruendo nel dettaglio l’associazione mafiosa già presente dal 1898 al 1900. Ho ripreso le carte per intero di Salvatore Lupo e deciso di contenerlo in questo libro per Melampo Editore. È un libro particolarmente significativo anche allora si intravedono il ruolo dei familiari delle vittime arrivano a un processo e poi c’è il cardine il sistema relazionale tra la mafia e le istituzioni. Tra le figure particolari c’è una donna, che abitava in una bettola di via Sampolo, c’è un giro di monete false, lei lo capisce, fanno un buco nel muro e le uccidono la figlia di 17 anni, Emanuela Sansone. Ebbene questa mamma trova il coraggio di denunciare e ottiene giustizia».
Dopo decenni in cui era prevalsa la sua analisi a livello comportamentale con i pentiti si arriva una mafia strutturata, gli otto gruppi individuati dal questore Sangiorgi coincidevano con gli otto mandamenti. Il pentito Siino rivelò che le cosche che si spartivano la Conca d’Oro erano: Piana dei Colli, Acquasanta, Falde, Malaspina, Uditore, Passo di rigano, Perpignano e Olivuzza. Scrive il questore Ermanno Sangiorgi: «L’agro palermitano è purtroppo funestato come altre parti di queste e finiti e province, da una vasta associazione di malfattori, organizzarmi in sezioni, divisi in gruppi: ogni gruppo è regolato da un capo che chiamasi caporione… E a questa compagine è preposto un capo supremo… Sgraziatamente i caporioni della mafia stanno sotto la salvaguardia di deputati, senatori e altri influenti personaggi che li proteggono e li difendono, per essere poi a loro volta protetti e difesi».
Alcuni esponenti figuravano come cocchieri, fattori delle famiglie nobiliari dell’epoca, come i Florio, un legame ricchezza e protezione durato oltre un secolo. «La mafia non è per niente dimenticata – sottolinea il procuratore aggiunto di Trapani, Vittorio Teresi – sembra di leggere carte di processi attuali, ma anche nella descrizione di dinamiche interne e nella sua strutturazione dai soldati al vertice della piramide. Chi si occupa di mafia oggi vede qualcosa di attuale anche in alcuni nomi, penso ad esempio ai familiari di Siino che poi sono stati ammazzati nella prima guerra di mafia. E poi si arriva al legame con le istituzioni e che c’è sempre stato un dialogo e si sono riconosciute come soggetto politico pensante e questo in un Paese lacerato dalla criminalità è un fatto di straordinaria gravità».
All’incontro che si è tenuto nel chiostro della Questura, Renato Cortese, il questore, ha fatto gli onori di casa lanciando allo stesso tempo una riflessione sul fenomeno di Cosa nostra e su come la visione di Sangiorgi era stata lungimirante per l’epoca dove gli affari illeciti si basavano sulle rapine, sulle prime estorsioni nel settore ortofrutticolo per poi imporre la presenza sul territorio con i primi omicidi e le intimidazioni a possibili testimoni. «Sono 150 anni di storia – esordisce Cortese – È davvero straordinario che il questore Sangiorgi aveva fatto una mappatura e addirittura alcuni cognomi sono ricorrenti nei decenni successivi e poi sono state individuate alcune verità che poi Buscetta e Contorno ci hanno confermato. Intanto dobbiamo dire che passi avanti ne abbiamo fatti ed è una società che ha acquisito gli anticorpi contro la mafia e sono fiducioso che potremmo mettere la parola fine e che serve l’aiuto di tutti non soltanto delle Istituzioni e delle Forze dell’Ordine ma di ogni singolo cittadino».