A 39 anni dall'omicidio del maresciallo, un altro passo in avanti nella battaglia per far conoscere e tutelare la sua storia. Il figlio Giuseppe: «Per la prima volta non si tratta di un'iniziativa proveniente da noi famigliari, ma da qualcun altro, questo ci ha fatto molto piacere»
A Ciaculli un albero per ricordare Calogero Di Bona «Non solo fare vivere la memoria, ma la sua storia»
Dopo l’intitolazione del carcere Ucciardone, dove ha prestato servizio, decisa lo scorso gennaio, ecco che la famiglia di Calogero Di Bona incassa un’altra vittoria in fatto di memoria, con la piantumazione avvenuta questa mattina a Ciaculli di un cippo per ricordare il maresciallo ucciso dalla mafia 39 anni fa. Il caso Di Bona, però, nel 1979 è all’inizio solo un caso sospetto di scomparsa. Il primo a indagare è il giudice Rocco Chinnici. Ma le investigazioni procedono fino alla sua morte, avvenuta nel 1983. Dopo un arresto improvviso e poi anni e anni di silenzio per i familiari. Fino al 2010, quando la situazione si sblocca grazie all’impegno del figlio del maresciallo, Giuseppe Di Bona, che scopre per caso l’esistenza di un verbale all’interno di una sentenza di oltre 800 pagine nei confronti di Bruno Contrada, in cui si faceva riferimento proprio alla scomparsa del padre.
A tirare in ballo la storia della fine del maresciallo Di Bona è il pentito Gaspare Mutolo: ai magistrati racconta che era stato sequestrato e ucciso, strangolato e poi bruciato in un forno crematorio che i mafiosi utilizzavano, in un terreno nella zona residenziale di Città Giardini. Il pentito, si leggeva in quel verbale, accusava del delitto i boss Salvatore Lo Piccolo e Salvatore Liga. Ed è contro di loro che, a distanza di anni, si mette in moto la macchina giudiziaria. Sino al punto definitivo, arrivato lo scorso aprile con la conferma dell’ergastolo da parte della Cassazione. Il movente ricostruito dagli agenti della Dia si ricollega al pestaggio subito da un collega del maresciallo Di Bona solo pochi giorni prima della sua scomparsa. Lui aveva relazionato tutto, deciso a non sottostare a un’usanza troppo spesso in voga all’Ucciardone, quella che consentiva ai boss di comandare persino dentro le celle in cui venivano rinchiusi.
Un atteggiamento che Cosa nostra non gli ha perdonato. «Abbiamo accolto la proposta della piantumazione dell’alberello per mio padre con molto entusiasmo, anche perché per una volta non è stata un’iniziativa partita da noi famigliari», racconta Giuseppe Di Bona, quel figlio che rappresenta, ad oggi, il motore principale che ha portato, negli anni, a una verità giudiziario su quanto accaduto 39 anni fa. «Un albero è un segno della vita che continua, di qualcosa che cresce, che vive appunto – dice -. Significa che continua a vivere la memoria di mio padre, ma anche lui con la storia, per l’uomo e il maresciallo che è stato. Questo cippo è la vita che continua, la sua compresa». A proporre la piantumazione nel Giardino della memoria di Ciaculli è stato il giornalista Leone Zingales, presidente dell’Unci. «Sono iniziative che ci vogliono, sono necessarie», torna a dire il figlio.