Scabbia, polemiche al Vittorio Oggi come trentotto anni fa

«La situazione è del tutto sotto controllo. Il personale è stato sottoposto a profilassi e gli ambienti bonificati». A Catania, per ora, nessun allarme scabbia. Dopo i dieci contagiati all’ospedale etneo Vittorio Emanuele, Santina Carini, direttore del nosocomio, ci tiene a fare chiarezza. Per tranquillizzare i cittadini interviene anche l’assessore regionale alla Sanità Massimo Russo che aggiunge: «Sono stato informato che il direttore ha avviato tutte le misure di profilassi necessarie per prevenire ma anche per evitare la sua propagazione». La vicenda resta inquietante e ai catanesi più adulti forse ricorderà un altro rischio epidemia: il rischio colera di quasi 40 anni fa. Oggi come allora, ad essere al centro delle polemiche è proprio il Vittorio Emanuele.

A contagiare negli scorsi giorni due medici, tre infermieri, un ausiliario, due pazienti e un loro familiare è stata una donna di Gela, sulla sessantina, ricoverata ad ottobre per diverse patologie e deceduta qualche giorno fa nel reparto di Dermatologia. Le era stata diagnosticata una forma di psoriasi: la scabbia, spiegano dall’ospedale, si sarebbe scatenata solo dopo, probabilmente perché già in incubazione al momento dell’arrivo della signora al Vittorio. Il passaggio della donna attraverso diversi reparti ha però creato dei timori su dei nuovi contagi, a Nefrologia – dove la signora è stata sottoposta a dialisi – e nella zona dedicata al Day hospital. Altri casi che Carini smentisce seccamente.

Una volta accertata l’infezione, si è subito disposto la terapia profilattica del personale e la bonifica degli ambienti dell’ospedale. Ma non tutto sarebbe stato fatto come si deve, denunciano alcuni dipendenti. I reparti non sono stati chiusi per essere bonificati secondo protocollo e i materassi – dov’è più facile che si annidino gli acari che trasmettono la scabbia – non sono stati sostituiti. Una situazione che crea disagio e paura, considerata la facilità di trasmissione della malattia, per cui basta il contatto.

Una superficialità nella gestione delle emergenze che riporta Catania indietro di quasi quarant’anni. Esattamente all’estate del 1973, quando in diverse città del Sud Italia si scatena la paura del colera. A Napoli si registrano anche alcuni decessi. Nel capoluogo etneo l’allarme scatta alla fine d’agosto, alla scoperta che l’acqua del camping internazionale della Playa è inquinata. Le cozze vengono messe al bando, insieme a diversi altri alimenti. Scompaiono le bancarelle di frutta e verdura per strada. Aumentano i casi, soprattutto presunti, di contagio. Nessuno si rivelerà seriamente in pericolo, ma la vicenda fa emergere tutte le inadeguatezze della città: dalla raccolta dell’immondizia – che resta per strada anche 24 ore – alla pulizie nelle scuole. I vaccini per il personale medico arrivano in ritardo. E gli ospedali si scoprono inadatti a gestire la situazione. Come il Vittorio Emanuele, dove nel reparto malattie infettive venivano in realtà ospitati pazienti con altre patologie, non contagiose. Così che, quando davvero arrivava un caso sospetto di colera – o più comunemente di tifo o epatite – veniva sistemato insieme ai degenti ordinari. Altri tempi, si dirà. Resta da capire come il sistema sanitario cittadino reagirebbe a un nuovo ipotetico rischio di epidemia.


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