Fic fest è l'acronimo di Focolaio d'infezione creativa. È l'idea del gruppo guidato da Roberto Zappalà. Per una volta, ballerini diventano ideatori delle perfomance che calcano il palcoscenico di via Teatro Massimo. Sabato 5 e domenica 6 maggio è stato il turno di Alessandro Sollima, Fernado Roldàn Ferrer e Claudia Rossi Valli
Scenario pubblico, i danzatori diventano coreografi La compagnia Zappalà e i suoi «focolai d’infezione»
Si chiama Fic fest ed è l’acronimo di Focolaio d’infezione creativa. I danzatori di Roberto Zappalà diventano coreografi, contaminando di nuova ispirazione il palco di Scenario pubblico, dove di solito si esibisce la compagnia. Sabato 5 maggio e domenica 6 maggio è stato il turno di Claudia Rossi Valli poi e prima dei coreografi Alessandro Sollima e lo spagnolo Fernando Roldàn Ferrer, esecutore della prima coreografia portata in scena: Haeresis.
Due fari illuminano un danzatore dorato, simile a un lottatore. Forte, sfida il pubblico con lo sguardo. Danza in piedi, con convinzione. Ma è una maschera. Finisce per terra, si trascina: è solo lì che sa danzare, strisciando. In scena la debolezza umana, che si impone alla maschera scelta: l’eresia. È la condizione dell’uomo, mostrarsi forte fino a brillare, per poi cadere e restare giù. Nella fragilità, forse. O più semplicemente nella verità. Infatti del combattente non resta soltanto il danzatore. L’uomo si rialza: non sarà più un cavaliere dorato, ma tiene ancora la sua mazza in mano. Gira, gira, gira. Fino alla fine della sua vita; scenicamente fino a quando non si spengono le luci.
A seguire, Le ragazze della coreografa Claudia Rossi Valli. Un inno alla vita ben manifestato dalla grazia di quattro giovani di età compresa tra i 19 e i 29 anni: Michela Cotterchio, Chiara Di Guardo, Valeria Grasso e Ludovica Messina. Non si tratta di una presentazione giornalistica. ma coreografica: il secondo capitolo dello spettacolo è dedicato proprio a loro, anzi noi. Perpetuando la spiritosaggine della prima parte dell’esibizione, la coreografa mette in scena l’identità delle sue ragazze, con tanto di riferimenti anagrafici, amorosi, ortodontici ed hobbistici: la luce prima del temporale, la gatta, le seppie cucinate dal papà, i sorrisi, gli abbracci. È questo che le rende felici. Potrebbe essere altrimenti?
Forse sì, in una società in cui non è più raro «vivere per lavorare o lavorare per vivere». Danza, canto e recitazione. Certo, per i più tradizionalisti è scontato chiedersi cosa centri tutto questo con le mezzepunte, che hanno invece il palco tutto per loro durante il primo capitolo. L’atmosfera ludica e leggera sublima i gesti semplici e la naturale felicità che ne deriva. Sembra di essere in un giardino immaginario, dove si respira un’aria settecentesca. Abbracciate ed a passi incrociati, a occhi chiusi, le ragazze prestano la danza contemporanea anche alla mazurka.