A Catania, una città che ha bisogno di sviluppo e legalità, la macchina burocratica che si muove attorno ai beni confiscati alla mafia è incredibilmente lenta. E piena di contraddizioni. Lo racconta un'inchiesta di Agata Pasqualino, redattrice di Step1, che sarà presentata sabato 9 aprile all'ex Monastero dei Benedettini
Case loro
I beni confiscati alla mafia sono un’enorme fonte di ricchezza e un simbolo potentissimo della lotta alla criminalità organizzata. Con la confisca viene colpito il patrimonio e la potenza economica dell’organizzazione, indebolendo il suo controllo e radicamento sul territorio, e attraverso il riutilizzo sociale dei beni confiscati si riafferma il principio di legalità. Quando questo meccanismo si inceppa o rallenta a causa di ritardi e inefficienze, il simbolo rischia di ribaltarsi e di rafforzare il mito di una mafia invincibile. A Catania, una città che ha bisogno di sviluppo e legalità, la macchina burocratica che si muove attorno ai beni strappati alla mafia è incredibilmente lenta. E piena di contraddizioni.
L’inchiesta “Case loro – I beni di mafia a Catania confiscati e dimenticati” di Agata Pasqualino, ideata e condotta all’interno del Laboratorio Inchieste e video – giornalismo del periodico telematico di informazione Step1- Università di Catania (www.step1.it), in collaborazione con Libera, sarà presentata sabato 9 aprile, alle ore 10:30 nell’aula A6 del Monastero dei Benedettini di Catania. Oltre all’autrice, saranno presenti Dario Montana, presidente della sezione catanese di Libera e fratello del poliziotto Beppe, vittima della mafia, e Giuliana Liuzzo di Fiadda onlus.