Firme false M5s, al processo i racconti dell’accusa «Ho visto materialmente effettuare la ricopiatura»

«Ma come ti sembra, uguale o diversa? Meglio o peggio?». Sarebbero di questo tenore le frasi sentite dall’ex attivista del Movimento 5 Stelle Francesco Vicari la sera del 4 aprile 2012 nella sede di via Sampolo. L’uomo è stato sentito questa mattina dalla giudice Luisanna Cattina in merito al processo sulla vicenda delle presunte firme false. Il caso risale alla campagna elettorale per le Comunali del 2012, nelle quali a concorrere per la poltrona di primo cittadino era il pentastellato Riccardo Nuti, oggi imputato insieme ad altre tredici persone. Secondo la ricostruzione dell’accusa, alcuni attivisti e deputati si sono accorti di un errore nella compilazione delle firme raccolte, necessarie per presentare la lista a sostegno della corsa a Palazzo delle Aquile. Motivo che, per la pm Claudia Ferrari, li avrebbe spinti a ricopiare per tutta la notte centinaia di firme. «Ho visto che stavano copiando. Non so se fossero firme o una lettera o la Divina commedia. O, meglio, non lo sapevo in quel momento – prosegue il testimone -. Ma si capiva che stavano copiando qualcosa, confabulavano fra di loro, si confrontavano. Ricordo con certezza Giulia Di Vita, Samanta Busalacchi e Claudia La Rocca. Non sono certo della presenza anche di Claudia Mannino, sono passati sei anni da allora».

Vicari, insomma, lì per lì non capisce a pieno a cosa sta assistendo. E in fondo è una scena che dura un attimo. Riccardo Nuti, presente anche lui nella stanza secondo la ricostruzione del teste, lo invita subito a uscire, lui lì non può stare, è la segreteria, non è posto per i semplici sostenitori del Movimento. «Zitte! Non lo vedete che c’è il fratello di Simona Vicari? (esponente politico del centrodestra siciliano ndr) – Esci dalla stanza», la frase che Nuti avrebbe pronunciando vedendolo entrare nella stanza in cui stava, sempre secondo la ricostruzione del testimone, avvenendo la ricopiatura delle firme. «Ho visto materialmente effettuare questa ricopiatura. Ma esattamente in quel momento non mi sono reso conto di cosa effettivamente stavano ricopiando, sono uscito fuori dalla stanza, ho chiesto spiegazioni fuori e ho capito che sapevano tutti cosa stava succedendo là dentro».

Quanto accaduto quella sera, infatti, secondo Vicari e anche altri testimoni chiamati dall’accusa, sarebbe stato un fatto noto, «era argomento conosciuto da tutti gli attivisti, se ne parlava quasi apertamente alle riunioni – spiega proprio Vicari -. Io ero visto come una specie di infiltrato, infatti si cercò di allontanarmi». Riferisce anche di un episodio particolare, accaduto durante l’ultima riunione a cui prende parte, ad agosto 2012, nell’ufficio dell’avvocato Menallo, anche lui fra gli imputati: «Un giovane attivista di cui non ricordo il nome, mi prese a braccetto e mi disse di non andarmene, che le firme originali le aveva lui e che avrebbe fatto quadrare tutto». Una frase alla quale, lì per lì, non dà troppo peso ma che un anno dopo riferisce alla digos. Vicari racconta anche dell’esistenza quasi di due fazioni all’interno del Movimento 5 Stelle palermitano: una era quella che comprendeva i sostenitori, l’altra invece era quella denominata nell’ambiente anello magico, e comprendeva quegli attivisti e personaggi pentastellati poi eletti a deputati. Quelli che contavano, insomma, e che prendevano tutte le decisioni.

Di quanto visto quella sera di aprile, Vicari ne avrebbe parlato anche con Vincenzo Pintagro e Luigi Scarpelli, entrambi sentiti oggi in aula. Il primo conferma quanto già raccontato, parecchio dopo la vicenda, attraverso le telecamere delle Iene, che di fatto fecero scoppiare il caso. «Quella sera sono andato via a mezzanotte, il giorno dopo in sede trovai i resti di un bivacco, scatole di pizza e bottiglie varie, ho capito che era stata una serata lunga. Chiesi spiegazioni a Giulia Di Vita, che mi rispose che avevano passato tutta la notte a controllare le firme una per una e io mi fidai di quella risposta», spiega Pintagro, che subito tira in ballo anche il fatto di, una volta appresa la situazione, non essere mai riuscito a sortire alcun effetto con i suoi discorsi agli attivisti del Movimento, né con i due esposti presentati in Procura. «Ero abituato a non avere seguito. Quello che dicevo io non aveva alcun valore, valeva solo quello che dicevano altre persone».

Dopo di lui, è la volta anche di Scarpello, proprietario dell’immobile di via Sampolo messo a disposizione del Movimento come sede. La sua, però, è da subito una testimonianza stentata, sul filo del detto-non detto, e la sensazione che se ne ricava è di qualcuno che non vuole fare nomi, che non vuole puntare il dito, che vuole per quanto possibile restarne fuori. Non mancano infatti le frasi lasciate a metà, le contestazioni della pm Ferrari e le riprese da parte della giudice Cattina. «Appresi delle irregolarità sulle firme da Pintagro e ne parlai con altri attivisti», racconta, anche se solo poco prima aveva dichiarato di non avere parlato della presunta ricopiatura delle firme prima del 2013, quando lo convoca la digos e di avere sentito i dettagli solo tempo dopo in televisione. Per il suo controesame però si dovrà aspettare l’udienza di aprile. A darsi il cambio oggi sono anche tre testimoni che hanno disconosciuto la propria firma sul foglio presentato all’epoca in Comune. Una negazione decisa e ferma alla quale non è seguita alcuna domanda delle parti. 


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