Cimeli rossi, era pre-bunga bunga

Una grande bandiera rossa un po’ sbiadita, la prima del Pcd’I, domina dall’alto la bellissima sala che ospita l’esposizione, accanto ad una citazione di Antonio Gramsci, che suona quanto mai attuale: “Agitatevi perché avremo bisogno di tutto il vostro entusiasmo. Organizzatevi perché avremo bisogno di tutta la vostra forza. Studiate perché avremo bisogno di tutta la vostra intelligenza”.
 
La mostra, inserita tra le manifestazioni culturali dedicate al 150° anniversario dell’unità d’Italia, ripercorre settant’anni di storia d’Italia e del mondo. Il PCI, infatti, dalla sua nascita il 21 gennaio 1919 a Livorno, al suo scioglimento nel Partito Democratico della Sinistra e nella conseguente formazione del Partito della Rifondazione Comunista, il 4 febbraio 1991, ebbe una vita profondamente intrecciata alla storia del comunismo internazionale, ma rappresentò anche una felice anomalia. Settant’anni che corrispondono quasi esattamente con il periodo che lo storico inglese Eric Hobsbawm assegna al Secolo Breve.
 
L’itinerario della mostra prevede, al primo piano, una ricchissima raccolta di documenti, cimeli, video, fotografie, manifesti, volantini e manoscritti autografi, divisi, secondo una disposizione cronologica, in sei sezioni, ciascuna arricchita da una mediateca con approfondimenti tematici organizzati secondo un’impostazione multimediale, che consente a ciascun visitatore di scegliere cosa vedere, ascoltare, sfogliare, costruendo il proprio personale piano di lettura. Al centro della grande sala sono esposti gli originali autografi dei “Quaderni dal carcere” di Antonio Gramsci, esposti per la prima volta dal 1948, che rappresentano sicuramente la parte più preziosa della mostra, affiancati da teche in cui sono raccolti libri, giornali, resoconti di riunioni di partito e discorsi parlamentari, tessere e oggetti d’epoca. Tutti materiali che appartengono al patrimonio archivistico e documentale della Fondazione Istituto Gramsci e della Fondazione Cespe, organizzatrici della mostra, contributi importanti appartengono anche agli archivi de L’Unità, del Crs, della Fondazione Di Vittorio, dell’Udi, dell’Isituto Luce, della Rai e dell’Archivio audiovisivo del movimento operaio.
 
A muoversi tra teche e schermi un pubblico ricco e incuriosito, fatto di tanti protagonisti che di quegli anni conservano i ricordi e numerosi ragazzi. Tutti catturati dalla ricchezza e dalla complessità dei temi e del dibattito che la documentazione racconta. Ricchezza e complessità da cui le discussioni politiche dell’oggi sembrano lontanissime, nonostante le assonanze che i fatti recenti  evidenziano: dalle immagini di Berlinguer davanti ai cancelli della Fiat e delle lotte operaie dell’Autunno caldo, che non possono non ricordare lo scontro Fiom-Marchionne, a quelle di grandi manifestazioni giovanili del ’68 che ci riportano a qualche settimana fa e alla discussione ancora aperta sulla Riforma Gelmini. La riflessione sull’attualità è inevitabile.
 
Colpisce anche una sezione interamente dedicata a “Donne in lotte”, in cui, grazie a fotografie di partigiane, immagini di manifesti per le campagne referendarie sul divorzio e sull’aborto, per la giornata dell’8 marzo e per i congressi dell’UDI, filmati di grandi manifestazioni femministe, si ricostruisce il ruolo determinante che le donne hanno svolto nella storia del Pci come soggetto dell’alternativa.
 
Al piano superiore, invece, si trova una sezione artistica con le creazioni grafiche di 34 designers che interpretano i termini grafici e visivi dell’idea comunista, affiancata da una sezione satirica con le vignette di Altan e Staino “Bobo e Cipputi. Due comunisti di carta”.
La mostra è arricchita da un lungo elenco di appuntamenti, dibattiti e lectio magistralis con i protagonisti della storia più recente del partito, ma anche del mondo sindacale, culturale e artistico.
 
Per chi non avesse la possibilità di vedere la mostra, suggeriamo di visitare il sito: www.ilpcinellastoriaditalia.it  


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