Le 7500 persone stipate a piazza Castelnuovo hanno festeggiato il nuovo anno con una serie straordinaria di controlli. Un modo di stare all'aperto che rischia di diventare la normalità. A segnalarlo è il direttore artistico Valerio Festi, che però allo stesso tempo diffonde una speranza: «Solo l’arte e la cultura ci salveranno»
Capodanno militarizzato, la paura prevale sulla festa «Le piazze vengono mortificate quando c’è la folla»
Metal detector, varchi transennati, controlli di polizia, numero limitato di accessi, una lunga lista di oggetti vietati, vie di fuga e misure di sicurezza antipanico, anti terrorismo, probabilmente anti tutto. Le feste di Capodanno in tutta Italia, specie quelli nelle grandi città, si sono somigliati un po’ tutti. Anche a Palermo, dove addirittura sono stati vietati i selfie stick, così come le recenti misure governative hanno imposto ai Comuni di innalzare il livello di sicurezza per proteggere i cittadini da attacchi terroristici o di panico diffuso. A Piazza Castelnuovo, per ascoltare Edoardo Bennato, spazio solamente per 7500 persone. In molti hanno visto le misure di sicurezza come una sorta di Xanax collettivo che attraverso una lunga lista di divieti dovrebbe sedare gli animi e allontanare i pericoli. Tutto legittimo considerando il momento storico, ma c’è da chiedersi quanto queste misure non siano più genericamente riconducibili ad una paura diffusa di cui tutti siamo vittime che all’effettiva efficacia dei mezzi stessi.
A manifestare tali perplessità è Valerio Festi, direttore artistico di fama internazionale che ha curato alcuni tra i più importanti grandi eventi in Italia e nel mondo: da svariate edizione del festino di santa Rosalia alle cerimonia inaugurale delle Olimpiadi Invernali di Torino. «Viviamo tempi in cui la moltitudine fa paura – dice il direttore artistico -. Dopo gli errori di Torino le piazze vengono mortificate ogni qualvolta ci si ritrova a condividere dei momenti con la folla. Un timore giustificato, a cui si è dovuto contrapporre misure di sicurezza rigide, ma così facendo si presta il fianco alle organizzazioni terroristiche e mafiose, che vogliono costringerci a vivere con le nostre paure». L’ultimo degli eventi curato da Valerio Festi è stato il Capodanno della città di Catania, un inedito spettacolo di piazza dedicato a Vincenzo Bellini. Una drammaturgia a cielo aperto tra opere ed episodi della vita del compositore proiettati e danzati sulle facciate dei Palazzi, su palchi allestiti per l’occasione con macchine volanti, coreografie verticali, danze di acrobati e ballerini che hanno volteggiato a quindici metri d’altezza e sospesi su cavi invisibili. La partecipazione del pubblico è stata straordinariamente ordinata.
«A Catania è successo qualcosa di magico – racconta l’intellettuale bolognese -. Una risposta civile, partecipata e intensa quella che i cittadini catanesi ci hanno riservato, solo marginalmente riconducibile alla lunga lista di divieti che sono stati imposti ai cittadini. I catanesi hanno interpretato la piazza come un teatro, e come uno spazio pubblico perché quel luogo era pieno di significato. Trovo senza senso che la stragrande maggioranza degli eventi di piazza per la notte di San Silvestro siano incentrati sulla notorietà di un cantante o di un volto della tv che porta in giro se stesso e il suo show, non certo un racconto della città per la città». L’esempio etneo si può contrapporre, in un certo senso, a quello palermitano dove, al netto della volontà di offrire uno spettacolo popolare, hanno prevalso i timori e un certo conformismo.
«Catania si è raccontata e ha ragionato sul valore del tempo che passa – spiega ancora Festi – la ragione essenziale per cui festeggiamo l’inizio di un nuovo anno. Solo un racconto di questo tipo ci aiuta ad opporci alle misure antiterrorismo e antipanico di questi anni che vogliono, piazze blindate, controlli, varchi di sicurezza e polizia in ogni dove. Un fatto necessario ma che spero possa essere transitorio. Onestamente credo che solo l’arte e la cultura ci salveranno dalle prigioni della paura, che resta il motivo sostanziale per cui ci ostiniamo a erigere barriere e promulgare divieti».