La Procura si pronuncerà alla prossima udienza sulle richieste avanzate oggi dall’avvocato Calantropo. Il pubblico ministero: «L’accusa si è basata su altri dati, diversi da quelli di natura genetica, cioè sul traffico telefonico e il riconoscimento della voce». La donna: «Perché lo chiamate con un altro cognome?»
Caso Mered, legale chiede deposito del test del Dna «Sono madre e figlio oltre ogni ragionevole dubbio»
«C’è corrispondenza oltre ogni ragionevole dubbio. La signora Maeza Zerai Weldai è la madre naturale di quello che viene chiamato Yehdego Medhanie Mered e che invece secondo noi è un’altra persona». È questo quanto riportato, nero su bianco, nella perizia a firma del consulente tecnico della difesa Gregorio Seidita, incaricato dall’avvocato Michele Calantropo di effettuare la comparazione tra il profilo genetico dell’uomo detenuto con l’accusa di essere uno dei peggiori trafficanti di uomini (e che ha sempre dichiarato di essere invece Medhanie Tesfamariam Behre), e la donna che afferma di esserne la madre. «C’è compatibilità al 99,9 per cento. Queste due persone sono davvero madre e figlio», ribadisce il perito.
Alla richiesta di deposito dei risultati della consulenza, si è aggiunta anche quella di depositare la testimonianza del 2 ottobre di Haile Seifu, un eritreo detenuto a Rebibbia che ha ripetuto quanto dichiarato già durante i primi interrogatori. Di essere stato, cioè, comprato dal boss Mered e di averlo identificato con l’uomo ritratto nella foto contenuta nel fascicolo in possesso ai magistrati. Secondo questa testimonianza, quindi, il vero Mered sarebbe l’uomo raffigurato accanto a un’automobile, che indossa una maglietta blu e un vistoso crocifisso al collo, nella nota immagine allegata all’operazione Glauco. «Capelli lunghi; circa 35-36 anni; non è alto, non è basso; ha un po’ di pancia, ma non è grasso. È a lui che ho lasciato i miei soldi», dichiara Seifu.
Dopo un’iniziale opposizione, la pm Anna Maria Picozzi ha deciso di riservarsi alla prossima udienza per decidere in merito alle richieste di deposito della difesa. «L’accusa si è basata su altri dati, diversi da quelli di natura genetica – dichiara la magistrata in aula – Si è basata sul traffico telefonico e riconoscimento della voce», è la spiegazione inizialmente fornita alla giuria della seconda Corte d’Assise. «Perché continuano a chiamarlo con un cognome che non è il suo?», domanda fuori dall’aula la madre del ragazzo detenuto da oltre un anno ormai al Pagliarelli. «Il nome è uguale, Medhanie, quindi forse c’è stato un malinteso. Ma mio figlio si chiama Tesfamariam, non Mered, abbiamo tutti i documenti che lo provano». Nessun alias, quindi, rispetto a quanto invece sostenuto dalla Procura.