Manifesto Scum, la traduzione integrale dopo 50 anni La co-curatrice Arcara: «Testo scandaloso e attuale»

«Un pamphlet incendiario, provocatorio, scandaloso, serio e comico al tempo stesso». È Scum, manifesto per l’eliminazione dei maschi, opera del 1967 scritta da Valerie Solanas, mitico testo femminista prima ancora che il femminismo radicale si affermasse negli Usa, oggi oggetto di rinnovato interesse da parte dei queer studies. Un libro irriverente, già a partire dal nome – scum, cioè feccia – circolato per decenni negli ambienti underground, ma che ha dovuto attendere cinquant’anni per avere una traduzione italiana fedele e integrale. Si tratta del volume Trilogia Scum, edito dalla casa editrice di Milano VandA e-publishing, e curato dalla storica femminista modenese Deborah Ardilli e dalla catanese Stefania Arcara, docente di Letteratura inglese e Gender studies all’università di Catania e presidente del centro Studi di genere Genus. All’interno della raccolta, anche due inediti – la commedia Up Your Ass (In culo a te) e il racconto Come conquistare la classe agiata. Prontuario per fanciulle -, due saggi introduttivi e la sezione Cronologia di una vita abietta che ricostruisce per la prima volta la movimentata vita dell’autrice. Nota ai più per il tentato omicidio di Andy Warhol e finora esclusa sia dalla storia del femminismo che dagli archivi della memoria queer, Solanas dimostra oggi la sua attualità e inizia a essere riconosciuta per l’importanza della sua analisi politica e per il suo talento di scrittrice. «Manifesto Scum l’ho letto da adolescente, negli anni ’80, nelle mitiche Edizioni Millelire – racconta Arcara – Oggi, insieme alla regista e traduttrice Nicoleugenia Prezzavento si sta pensando all’allestimento della commedia di Solanas Up Your Ass, prima assoluta in Italia, nei prossimi mesi a Catania». Un’anteprima si avrà mercoledì 25 ottobre, alle 15, al Coro di notte dell’ex monastero dei Benedettini, all’interno delle giornate di studio Ne uccide più la parola, con protagonista l’attrice Rita Salonia. Un assaggio di un volume da maneggiare con cura: MeridioNews ne ha discusso con la co-curatrice Stefania Arcara.

Valerie Solanas è un nome che non si trova certo nei manuali di letteratura. Qual è l’eccezionalità della sua opera?
«Nel 1967 Solanas vendeva per strada le copie di Scum a un dollaro agli uomini e a 25 centesimi alle donne, per denunciare la diseguaglianza economica sulla base del genere. Oggi la disparità salariale è ancora un dato di fatto, mentre la società continua a reggersi sul lavoro riproduttivo delle donne. Solanas ha avuto molto coraggio, perché scriveva nella seconda metà degli anni ’60, prima del femminismo radicale e prima delle rivolte di Stonewall che daranno il via all’attivismo Lgbt: si rivendicava la feccia come posizione dalla quale esprimere la sua rabbia e lottare. Questa posizione infima nella quale la società la relegava, lei, scrittrice di talento, con un’intelligenza brillante e un sarcasmo tagliente, l’ha sperimentata sulla propria pelle tutta la vita, essendo non solo una donna, ma anche una lesbica dichiarata negli Stati Uniti della Guerra fredda, quando gli individui come lei venivano arrestati o ospedalizzati per il solo fatto di essere visibili. Per di più era una lesbica sottoproletaria, che ha vissuto per anni senza fissa dimora chiedendo l’elemosina e prostituendosi».

Come mai, a 50 anni dalla prima pubblicazione, circolava ancora un testo parziale di Manifesto Scum? Cosa le ha lasciato questo lavoro di cura e traduzione in termini di esperienza umana, politica e professionale?
«L’identità alla quale Valerie Solanas teneva di più era quella di scrittrice, ma in quanto donna e lesbica e indigente le fu negato l’accesso ai canali dell’editoria e agli ambienti intellettuali, anche quelli delle avanguardie. Il Manifesto Scum, inizialmente stampato in proprio, fu pubblicato senza il consenso dell’autrice all’indomani della sparatoria che la rese famosa nel 1968, dall’astuto editore Maurice Girodias dell’Olympia press, che manipolò e tagliò il testo mentre lei si trovava in carcere. Per tutta la vita Solanas non ricevette un centesimo dalla vendita delle numerose edizioni e traduzioni di Scum in tutto il mondo. Solo nel 1977, fallita l’Olympia Press, i diritti tornano a Solanas che finalmente ripubblica, ancora in proprio, l’edizione corretta, da lei stessa rivista. La traduzione mia e di Deborah Ardilli si basa su questa versione, originale e integrale, ed è stata un’esperienza entusiasmante: siamo state sempre rigorose per rispetto dell’integrità artistica e politica di Solanas, e al tempo stesso ci siamo divertite da matte».

Dal 1967, però, il mondo è cambiato. Chi sono le donne-feccia del 2017 e come parla loro oggi questo libro?
«L’idea di feccia (scum) di Solanas sta a significare “lo stato degradato delle donne in un sistema di valori sociali definito dagli uomini”. Quindi, poiché continuiamo a vivere in un regime eteropatriarcale, la feccia sono tutti i soggetti sociali oppressi sulla base del genere. Se oggi, in media, un uomo uccide una donna ogni tre giorni; se alla maggioranza delle donne continua a essere estratto lavoro domestico e di cura gratuito, malgrado l’emancipazione permetta loro di lavorare anche fuori casa, ma pagate meno degli uomini; se i corpi femminili sono commentabili da qualunque uomo nello spazio pubblico, indipendentemente dalla sua classe sociale e dal colore della pelle; se le donne vivono costantemente sotto la minaccia, implicita o esplicita, di molestia sessuale e di stupro come dimostra, qualora ve ne fosse stato bisogno, la recente campagna #metoo, allora Manifesto Scum parla ancora forte e chiaro a tutte le donne, cis e trans, e a tutti i soggetti che non si conformano alle norme di genere. Oggi forse, semmai, si è indebolita la disponibilità delle donne a riconoscersi quali soggetti oppressi e quindi a organizzarsi politicamente per abbattere il sistema».

E cosa scoprirebbe invece un uomo che si avventuri nella lettura, ammesso che riesca a superare il titolo e quel “distruggere il sesso maschile” dell’incipit?
«È interessante che in Manifesto Scum gli uomini siano oggetto del discorso e mai interlocutori. Solanas lo dice esplicitamente: il vero conflitto è quello con coloro che lei chiama le figlie di papà”, cioè donne complici del patriarcato, che non hanno preso coscienza della propria oppressione e magari credono di ottenere benefici dalla propria posizione subordinata. Oggi un uomo eterosessuale che legge Scum potrebbe, nella migliore delle ipotesi, riconoscersi nei tanti comportamenti da lei descritti e prendere coscienza del proprio privilegio sociale di genere. Un uomo non eterosessuale, può riconoscersi, io credo, in ciò che lei scrive quando loda “i froci che, con il loro magnifico e fulgido esempio, incoraggiano altri uomini a de-mascolinizzarsi”. A chi poi, sia uomini che donne, si scandalizza per il discorso estremo fatto da Solanas quando teorizza provocatoriamente l’inferiorità maschile, rispondo che nessuno e nessuna si sognerebbero mai di accusare grandi uomini come Aristotele, San Tommaso o San Paolo di essere pazzi quando affermano che la donna è “un uomo mancato” o che è suo dovere ubbidire al marito. Solanas usa provocatoriamente la stessa argomentazione, ribaltando i poli di genere. Ma lei è considerata una pazza, in quanto parla da una posizione sociale subalterna, quella di una lesbica mascolina, proletaria, con un linguaggio volgare, una fuorilegge del genere. E questo la società non può tollerarlo».

Il libro viene pubblicato a ridosso di una tornata di elezioni regionali ancora una volta con scarsa presenza femminile e, spesso, di facciata. Cosa scriverebbe nella dedica alle candidate?
«Rispondo con le parole della pazza Solanas: “Scum mira a distruggere il sistema, non a conquistare dei diritti al suo interno”».


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