È un giudizio duro quello che emerge dalle parole dell'ex uomo d'onore di Brancaccio, intercettato nel carcere di Milano durante l’ora d’aria che condivide col camorrista Umberto Adinolfi. E non mancano gli esempi eccellenti, dalla giudice Saguto all’ex presidente di Confindustria Sicilia Montante
L’antimafia in Sicilia secondo Giuseppe Graviano Il boss ne ha per tutti: «È diventata una vergogna»
«In Sicilia è diventata una vergogna, tutti questi dell’antimafia». Così la pensa Giuseppe Graviano, boss della famiglia di Brancaccio da 24 anni detenuto in regime di 41 bis, mentre si sfoga con il compagno di ora d’aria, il camorrista Umberto Adinolfi. Chiacchierano di molte cose, i due, durante la consueta passeggiata nel cortile del carcere di Opera a Milano, e non mancano di rievocare nomi e fatti, mentre vengono intercettati dagli investigatori. «Ti ricordi quello della Confindustria, Montante? Lo chiamano dieci pentiti», aggiunge Graviano, tirando in ballo l’ex presidente di Confindustria Sicilia Antonello Montante, indagato a Caltanissetta per concorso in associazione mafiosa. Tra gli esempi anche quello di Silvana Saguto, l’ex presidente della sezione Misure di prevenzione del tribunale di Palermo, oggi indagata per corruzione e recentemente sospesa dall’Anm. Anche lei, secondo il boss, sarebbe ormai un simbolo del disfacimento dell’antimafia siciliana.
La lista si allunga quando Graviano allude anche a un «presidente dell’antiracket di Castellammare del Golfo», che secondo lui sarebbe vicino al latitante Matteo Messina Denaro. «Sono tutti che fanno l’antimafia e si prendono i lavori e ancora il Governo non se ne accorge». Un giudizio duro, quello dell’uomo di Cosa nostra, malgrado in un’altra occasione il compagno di passeggiata abbia tradito quasi una sorta di apprezzamento verso l’atteggiamento della Commissione antimafia attuale: «Prima era una persona pacata ma oggi, occupandosi dell’antimafia, è diventata una donna agguerrita», dice della presidente Rosy Bindi, intercettato a marzo di quest’anno. Valutazioni, quelle dei due detenuti, depositate agli atti del processo sulla trattativa Stato-mafia. Ammonterebbero a circa cinquemila le conversazioni intercettate dagli inquirenti per circa un anno. Solo pochi giorni fa era emersa una conversazione, avuta sempre con Adinolfi, in cui il boss di Brancaccio attribuiva a Silvio Berlusconi un ruolo nelle stragi del ’93 e al fatto che, l’ex premier, avrebbe prima approfittato del suo aiuto per poi voltargli le spalle e tradirlo.