L’ex imprenditore palermitano si è presentato, seguito dalla famiglia e da alcuni cittadini che lo sostengono, davanti alla prefettura di Palermo, per chiedere che vengano applicate le necessarie misure di protezione nei suoi confronti. «Sono una vittima di tutte le collusioni fra Cosa nostra, istituzioni e borghesia». Guarda il video
La Prefetta De Miro incontrerà Angelo Niceta «Sono morto, ma continuerò a testimoniare»
«Sono Angelo Niceta e questo è il mio decimo giorno di sciopero della fame, un digiuno voluto dallo Stato, che mi ha isolato e reso inesistente». Queste le parole dell’ex imprenditore palermitano pronunciate questa mattina davanti alla prefettura di Palermo, dove per la seconda volta lui, la famiglia e alcuni cittadini che lo sostengono si sono ritrovati. Questa volta, però, il sit-in ha sortito l’effetto sperato, e anche se oggi la prefetta Antonella De Miro non li ha potuti ricevere, ha fissato un incontro per mercoledì prossimo. Angelo Niceta avrà così modo, affiancato dall’avvocata Rosalba Vitale, di raccontare nel dettaglio la sua situazione e di chiedere tutela per sé e la famiglia. «Ancora oggi non ho avuto nessuna risposta sulla mancata applicazione delle misure di protezione richieste dal Ministero degli Interni già un anno fa e più volte anche da me attraverso diverse raccomandate».
Misure che, di fatto, gli spetterebbero per legge, malgrado la decisione del Ministero di considerarlo un pentito, a dispetto di quanto richiesto dalla Procura e dalla Dda di Palermo, e dai magistrati Piero Padova e Nino Di Matteo che hanno invece più volte richiesto di attribuire ad Angelo Niceta lo status di testimone di giustizia. «Il collaboratore è una persona che ha commesso dei reati e quindi ha una pena da scontare, che viene anche ridotta in virtù della sua collaborazione. Io non ho commesso nessun reato però, sono vittima della mafia e di tutte le collusioni fra Cosa nostra, istituzioni e borghesia mafiosa palermitana – dice Angelo – Trovo quindi paradossale questo cambio di status. Il fatto che, da quando sono tornato a Palermo, lo Stato continui a non proteggermi sembra come se fosse un deterrente alle mie future dichiarazioni nei processi, perché non essendo protetto io potrei spaventarmi e pensare di non dire più qualcosa. Io sono già morto, non mi spaventa più niente, andrò avanti a oltranza con tutte le mie testimonianze, digiuno compreso. Solo quando la gente capirà quello che sta succedendo, riusciremo ad avere una svolta in questo Stato italiano ormai incancrenito e un tutt’uno con la mafia».
Sono in tanti quelli che questa mattina hanno atteso il responso al suo fianco davanti ai cancelli di via Cavour. «Siamo qui per la riappropriazione al cento per cento dei nostri diritti e doveri di cittadini – spiega Mario Stagno – Chiediamo fortemente la protezione per quest’uomo saggio e giusto, che non deve essere confuso con un pentito, perché non ha niente di cui pentirsi, quindi lo Stato faccia il suo dovere di proteggerlo». Gli fa eco anche il padovano Manfredo Gennaro, che della vicenda conosce ormai ogni dettaglio: «Vogliamo esprimere la nostra solidarietà ad Angelo Niceta per la gravissima situazione in cui si trova – spiega – Non si è mai sentito di un testimone di giustizia, cosa che di fatto lui è, che viene lasciato costantemente senza scorta nonostante l’importanza delle sue dichiarazioni, che tirano in ballo famiglie come quella dei Graviano e dei Guttadauro e gli interessi di Matteo Messina Denaro, il gotha della mafia siciliana».
Domande ancora senza risposta e parecchia indignazione, da parte dei cittadini, per una storia che ancora fatica a venire del tutto alla luce e ad essere conosciuta dall’opinione pubblica: «Nonostante sia stata chiesta dalla Dda di Palermo l’accesso al programma di misure di protezione, si trova non solo in uno stato di grave indigenza economica ma addirittura senza alcuna forma di protezione. A questa situazione le istituzioni devono porre fine immediatamente», continua Gennaro. Lui è uno di quei cittadini che segue con attenzione il processo sulla presunta trattativa Stato-mafia. «Quando posso mi reco anche a Palermo per seguire le udienze, come quella in cui ho sentito la testimonianza di Angelo il 13 maggio 2016 che, davvero, anche solo ascoltandola lasciava veramente sconcertati per la storia che raccontava. Poi ho avuto modo di conoscerlo personalmente, mi ha raccontato dettagli della sua storia, oltre a poter constatare la sua condizione di isolamento sociale qui a Palermo – dice ancora – Nessuno gli vuole dare lavoro, qualcuno nemmeno lo saluta e poi succedono continuamente fatti strani, alcuni accaduti davanti ai miei occhi. All’inizio mi sembrava una storia incredibile, ma ho scoperto che purtroppo è tutto assolutamente vero e gravissimo, incredibile per uno Stato che afferma a parole di voler combattere la mafia e poi nei fatti sembra applicare politiche completamente diverse».