La massoneria reagisce al sequestro degli elenchi «Commissione antimafia lo revochi entro 10 giorni»

La più grande comunione massonica ufficiale reagisce al sequestro degli elenchi, eseguito lo scorso 1 marzo su ordine della commissione nazionale antimafia. Il Grande Oriente d’Italia di Palazzo Giustiniani ha inviato oggi un’istanza di revisione in autotutela finalizzata alla richiesta di annullamento o di revoca del provvedimento. A inizio mese i militari delle Fiamme Gialle hanno effettuato le perquisizioni negli archivi centrali del Grande Oriente d’Italia; Gran Loggia Regolare d’Italia; Serenissima Gran Loggia d’Italia; Gran Loggia d’Italia degli Antichi Liberi Accettati Muratori, custoditi a Roma. Sono stati sequestrati gli elenchi delle logge di Calabria e Sicilia. 

Oggi la reazione del Goi. «Con questa richiesta – spiega il gran maestro Stefano Bisi – il Grande Oriente d’Italia ha assegnato alla commissione un termine perentorio di dieci giorni, terminato il quale si è riservato il diritto di adire l’autorità giudiziaria, in tutte le sedi competenti, per ottenere, anche nei confronti dei singoli parlamentari membri della commissione, il ripristino della propria onorabilità e reputazione e di quelle dei soggetti aderenti, nonché il risarcimento dei danni subiti».

Prima di ordinare il sequestro, la commissione aveva chiesto alle logge di consegnare gli elenchi, ma le richieste sono rimaste inevase. La scelta di concentrarsi sulla Calabria e sulla Sicilia è dovuta alle inchieste giudiziarie che stanno portando avanti le Procure di Trapani, Catania, Palermo e Reggio, dove emergono contatti tra mafia e massoneria. Secondo il Grande Oriente d’Italia, la richiesta di annullamento o revoca «si fonda anche sui principi consolidati nelle due sentenze che gli estensori e i firmatari del provvedimento necessariamente conoscono senza averle volute osservare». 

Il riferimento è alla sentenza delle Sezioni Unite penali della Corte di Cassazione (4/1983) e una della Corte Costituzionale (379/1996): principi, a parere del Goi, «traditi nella formulazione del provvedimento anche alla luce del presidio costituzionale costituito dalle norme poste a tutela della libertà di associazione (art. 18) del diritto inviolabile di difesa (art. 24 Cost.), e del principio del contraddittorio (art. 111 Cost.)». Il Goi contesta alla commissione che le operazioni affidate allo Scico risultano «illecite in quanto esorbitanti rispetto ai poteri stessi, come configurati della legge istitutiva della commissione con ogni conseguenza anche a carico dei singoli commissari e di chiunque abbia concorso ad adottare il provvedimento».

Bisi va oltre e critica anche le proposte di legge presentate dai deputati Davide Mattiello, del Pd, e Claudio Fava, per dare nuove regole alla massoneria, definite dal gran maestro «preludio di una deriva populista ed autoritaria, su un modello sul quale già il fascismo si era cimentato con la sciagurata legge Sulla regolarizzazione dell’attività delle associazioni e dell’appartenenza alle medesime del personale dipendente dello Stato, promulgata il 26 novembre 1925». La proposta di legge prevede «non possano partecipare o affiliarsi ad associazioni che comportino un vincolo gerarchico e solidaristico particolarmente forte attraverso l’assunzione di forme solenni di vincoli come quelli richiesti dalle logge massoniche o da associazioni similari», le seguenti categoria professionalimagistrati ordinari, amministrativi, contabili e militari, dirigenti della Pa, ufficiali dirigenti delle forze armate, avvocati e procuratori dello Stato, personale militare e delle forze di polizia di Stato, personale della carriera diplomatica e della carriera prefettizia, personale di livello dirigenziale dei vigili del fuoco, della carriera dirigenziale penitenziaria, professori e ricercatori universitari.

Pronta la replica di Mattiello: «Le parole del Gran Maestro del Goi danno la misura di quanto questa massoneria abbia smarrito la strada dell’800. Paragonare la mia proposta di legge alla legge fascista – afferma il parlamentare – è un atto di spudorata arroganza o di ignoranza: in un regime autoritario dove tutto è proibito tranne ciò che è esplicitamente autorizzato dallo Stato, come era al tempo del Fascismo, quelle norme confermavano una deriva liberticida. Ma quando si vive in un regime liberale dove tutto è concesso tranne ciò che è espressamente vietato dallo Stato, in ragione del bilanciamento necessario tra principi costituzionali, allora una norma come quella che io oggi propongo serve a garantire affidabilità e trasparenza delle Istituzioni, realizzando proprio quel bilanciamento. Consiglio a Bisi di considerare con maggior rispetto la cesura giuridica culturale e politica rappresentata dalla Resistenza e dalla Costituzione repubblicana che da quella è scaturita. Io andrò avanti».


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