In manette, come anticipato da MeridioNews, sono finite nove persone tra cui i presunti boss Salvatore Catania e Giovanni Pruiti. Il gruppo mirava a ottenere appezzamenti di terra da alcuni proprietari. «Fermato clima di terrore ma ci siamo scontrati con una cappa di omertà e reticenze», spiega il procuratore Zuccaro
Nebrodi, pressioni di Cosa nostra sui terreni «Tra croci col sangue dei maiali e pestaggi»
Il loro macabro inchiostro era il sangue dei maiali, che utilizzavano per realizzare croci e iniziali delle loro vittime sui muri. Ai più fortunati si faceva recapitare a casa dei mazzi di fiori con relativi bigliettini. C’erano poi i pestaggi, con un imprenditore agricolo che nelle scorse settimane ha rischiato di perdere un orecchio, mentre si trovava nella periferia di Cesarò. Ecco come agiva la mafia dei Nebordi, finita al centro di un’omonima operazione antimafia portata a termine dai magistrati della procura di Catania con il supporto investigativo del Reparto operativo speciale dei carabinieri e della compagnia dell’Arma di Santa Stefano di Camastra. In manette, come anticipato in esclusiva da MeridioNews negli scorsi giorni, sono finite nove persone. Tra di loro spiccano il nome del presunto boss di Bronte Salvatore Turi Catania e quello del referente di Cesarò Giovanni Pruiti. Considerati dagli inquirenti i capi nella zona della famiglia mafiosa dei Santapaola-Ercolano.
Nel mirino del gruppo erano finiti gli ormai noti terreni agricoli, che si estendano tra le province di Messina e Catania. Gli stessi coinvolti nel cosiddetto protocollo di legalità, firmato nel 2015 dal presidente del parco dei Nebrodi Giuseppe Antoci – rimasto illeso dopo l’attentato del 18 maggio 2016 – nella strada provinciale che collega Cesarò a San Fratello. Il documento ha portato a una stretta sui bandi per ottenere i finanziamenti pubblici sulla gestione dei terreni demaniali. Ma la mafia avrebbe comunque cercato di aggirarlo cercando in tutti i modi di acquisire terreni dai privati per riuscire a ottenere il massimo beneficio economico. In questo quadro generale si può leggere il tentativo di strappare a un imprenditore cesarese un appezzamento di 120 ettari. Uno di loro aveva formalizzato con due proprietari un preliminare di acquisto al prezzo di 440mila euro, stilato tra aprile e maggio 2016. Pruiti e soci avrebbero fatto di tutto per ottenere i fondi agricoli senza uscire un euro, nonostante una caparra, già versata, di circa 200 mila euro. Ma questo non è l’unico caso. Nelle carte dell’inchiesta emerge anche il tentativo di ottenere da un allevatore di Bronte 46 ettari in contrada Cutò, nel territorio di Maniace.
«Ci siamo scontrati con un incredibile muro, una cappa, fatto di omertà e reticenze che contraddistingue la zona dei Nebrodi. Qualcuno pensava di potere operare impunemente nonostante il protocollo firmato da Antoci», spiega il procuratore capo di Catania Carmelo Zuccaro. Accanto a lui, durante la conferenza stampa convocata dopo che il giudice per l’indagine preliminare ha disposto la custodia cautelare, c’è il comandante provinciale dei carabinieri di Messina Iacopo Mannucci Benincasa: «Chi voleva quei terreni non era disposto a seguire le regole del mercato libero», puntualizza.
Danneggiamenti, furti e uccisioni di animali sarebbero stati all’ordine del giorno per riuscire a fare uscire le parti dalle trattative. In un clima che Benincasa definisce a più riprese «di terrore». Insieme a Catania e Pruiti, fratello di Giuseppe ergastolano per omicidio e mafia, sono finiti in manette Roberto Calanni, Giuseppe Corsaro, Salvo Germanà, Luigi Giordano Galati, Antonino Giordano Galati, Carmelo Cristo Lupica e Carmelo Giacucco Triscari. L’evento che ha fatto scattare gli arresti risale al 10 febbraio, ma non è stato l’unico. Tra i più attivi nelle spedizioni punitive ci sarebbe stato Pruiti, in passato intervistato anche dal programma televisivo Le Iene. Un presunto capo bastione che, a novembre 2016, avrebbe guidato un gruppo di quattro persone per colpire con calci e pugni una delle vittime. C’è poi l’ultimo evento, avvenuto davanti il ristorante Mazzurco, nei pressi di Cesarò. Pruiti, in quell’occasione, si sarebbe dato da fare mordendo l’orecchio di un proprietario terriero.