Rimane in sospeso la vicenda di Khadiga Shabbi condannata per istigazione a commettere reati in materia di terrorismo. Dopo l'espulsione, il suo legale ha impugnato il provvedimento, convalidato però dal giudice di pace
Ricercatrice libica condannata Chiesto asilo, giudice si riserva
Resta irrisolta la questione della ricercatrice universitaria libica, Khadiga Shabbi, condannata la settimana scorsa a Palermo per istigazione a commettere reati in materia di terrorismo. Dopo l’espulsione, chiesta dalla Questura e disposta dal prefetto del capoluogo siciliano, la donna è stata portata in un Cie romano. Il suo legale, l’avvocato Michele Andreano, ha impugnato il provvedimento che è stato però convalidato dal giudice di pace.
Oggi, davanti al giudice monocratico di Roma, la difesa ha chiesto l’asilo politico per la Shabbi, in quanto nel suo Paese d’origine è in corso la guerra civile. La ricercatrice, secondo il suo legale, non potrebbe dunque essere rimpatriata. Il giudice si è riservato e dovrebbe decidere nelle prossime ore. Qualora accogliesse l’istanza del legale il magistrato dovrebbe liberare la donna che attualmente è clandestina in quanto, durante la detenzione scontata nel corso del processo, non le è stato rinnovato il permesso di soggiorno.
A disporre la scarcerazione di Shabbi, che il giorno dopo la liberazione è stata trattenuta dalla Digos e portata nella Capitale, era stato il gup che l’ha condannata a un anno e 8 mesi sospendendole la pena. Secondo la procura, che nel 2015 ne dispose il fermo, l’universitaria, oltre a fare propaganda tramite il web per gruppi jiadhisti, avrebbe avuto contatti con diversi foreign fighters.