Massimo Escher: “Mi avete restituito la sua vera immagine”

Ieri, mentre seduto davanti al pc cercavo le parole da scrivere per questo incontro, ho sentito una voce, quella voce, che mi diceva “che stai scrivendo, mi raccomando non drammatizzare”. Ma come non drammatizzare, ho risposto “qui si parla della tua morte, mica una passeggiata”. E la vocina: “almeno non fare piangere nessuno”. E io: “impossibile, c’è la mamma, lo sai che basta parlare di te …” . “Vabbé” ha risposto Lui “la mamma è fuori concorso, però gli altri…

Così con questa promessa ad Enrico ecco prova a dirvi di lui, di noi.

Provare a dirvi qualcosa su Enrico, in poche battute non è facile sia perché Enrico era un personalità complessa, multiforme, impossibile da sintetizzare, sia perché il dolore per la sua assenza lascia svuotati.

Non è stato semplice assistere impotenti al mutamento di Enrico, al lento ma inesorabile decadimento fisico per effetto della malattia, del cancro. Quando gli è stato diagnosticato, tanti anni fa, era un giovane uomo pieno di talento con un corpo atletico, un’energia fisica smisurata, un entusiasmo enormi: mille iniziative, mille progetti, sempre un passo avanti agli altri. Lui era il fratello maggiore, il mio appoggio, quello a cui chiedere consiglio ed al quale ispirarsi. Poi, a poco a poco, gli effetti devastanti del tumore. La chemio, l’operazione al cuore, etc, etc. I ritmi di Enrico rallentano, il suo modo di vivere, di lavorare, di trascorrere le vacanze, tutto si adegua ai suoi problemi, ai suoi acciacchi.

Molti altri al posto suo sarebbero andati giù per molto meno. Lui no. Lui era sempre sorridente, mai un lamento, mai un’autocommiserazione, almeno con me, con i suoi cari, i sui figli, tutti quelli che voleva proteggere dal dolore. Io, noi, ce lo ricordiamo affrontare ogni nuovo guaio fisico intrepidamente. Tanto lui avrebbe superato ogni prova, ogni quella operazione.

Enrico, pur con il suo sconfinato coraggio, pian piano diventa il fratello minore ed io, mio malgrado, il maggiore. Diventa il ragazzo da proteggere, da aiutare, da incoraggiare. “Massimo pensi che ce la farò?”, mi chiedeva qualche mese fa, disteso in quel letto da cui non riusciva più a levarsi. “ma certo Enri, ce l’hai fatta sempre, vedrai anche sta volta andrà bene”, gli rispondevo con l’aria più rassicurante di cui ero capace.

Ecco, dopo questi due anni passati quasi sempre in ospedale c’era il rischio che la mia idea di Enrico rimanesse sul fermo immagine di lui a letto sofferente. Invece, le lettere dei suoi ragazzi, le mail mandate dai suoi colleghi e dai suoi amici, la vostra presenza qui hanno avuto l’effetto balsamico di riconsegnarmi l’immagine vera di Enrico, quella, dell’uomo dei progetti e dei sogni, del giornalista vulcanico, dell’intellettuale appassionato. Un uomo che detestava essere compatito.

In una lettera che ha scritto ai suoi figli ed a Flaminia, per consolare i ragazzi per la morte della cagnetta, metteva il bocca alla bestiola la sua Weltanschauung, la sua visione della vita  della morte e del dolore, queste le parole testuali di Enrico:

“Marco, Giulia, Flaminia, si muore veramente solo quando non si lasciano tracce. Io so che nei vostri cuori ci sarà sempre il mio posto, la mia cuccia. Voi non mi scordate ed io tornerò a trovarvi. Il dolore non si supera facendo finta di niente. Si supera accettandolo e aiutandolo a passare. Con la fantasia, con i sogni. Con la sensibilità che tutti voi avete. A presto”.

Queste le parole di Enrico, scritte, che coincidenza, proprio un 12 luglio, esattamente quattro anni prima di andarsene per sempre.


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