Il gruppo criminale guidato da Marco D’Angelo, tra gli arrestati dell'operazione Doppia Sponda, era regolato da precise prassi. Gli incontri con i pusher avvenivano sempre di notte e a casa del capo. La riscossione dei soldi sempre di venerdì. Le comunicazioni si basavano su parole ambigue
Droga a Messina, rigide regole e linguaggio in codice «Rose» e «martello» per indicare cocaina e marijuana
Non solo rose e prezzemolo, anche martello. Era una delle parole di comodo usate per indicare la droga da due degli indagati dell’operazione Doppia Sponda, che ha sgominato due gruppi dediti al traffico di marjuana e cocaina nella zona sud di Messina. Peccato che i due soggetti in questione lavorassero come manovali. È quindi inverosimile, scrive il gip Salvatore Mastroeni, che «gli mancasse davvero un martello». I due intercettati sono Marco D’Angelo e Salvatore Di Mento.
Secondo la Procura, il primo è a capo del gruppo che approfitta dell’assenza di Maurizio Calabrò, l’amico dei catanesi, finito in carcere, per creare un nuovo giro. D’Angelo è ossessionato dalla precisione, impone regole precise da seguire: gli incontri con i pusher devono avvenire sempre di notte e a casa sua, adottando e facendo adottare ogni cautela per eludere i possibili controlli delle forze dell’ordine. Il venerdì è invece il giorno scelto per la riscossione degli introiti dell’attività di spaccio. D’Angelo annota su un registro le somme che i singoli associati gli devono per le partite di droga di volta in volta consegnate loro.
Agli affiliati è imposto di utilizzare termini convenzionali per indicare la droga. Come si legge nelle carte, «la parola martello ricorre spesso» nel linguaggio utilizzato da Di Mento e D’Angelo che lavorano come manovali alle dipendenze di un altro indagato, nella ristrutturazione di un appartamento nei pressi di piazza San Vincenzo. «Come diverrà progressivamente più chiaro, con l’espressione indicata i conversanti si riferivano alla droga, reale oggetto delle loro interlocuzioni. Pare infatti, difficile credere che i due operai non avessero in cantiere un martello, così come pensare che gli stessi discutessero dei lavori da eseguire in piena notte».
Nelle diverse intercettazioni telefoniche e ambientali la parola martello viene spesso associata ad aggettivi che mal si conciliano con l’uso o la natura stessa dell’arnese. Di Mento «richiedeva al D’Angelo “un martello sano” – scrive ancora il gip – oppure di portare, in tarda serata, “un solo martello” per apporre pochi chiodi, o segnalava la necessità di riparare la punta del martello riscontrata rotta, o ancora rappresentava di essere in attesa di un martello da portare a D’Angelo affinché potesse cambiargli il manico».
Non ci sono dubbi per il magistrato che il termine sia utilizzato come parola convenzionale per indicare la droga. «Il martello sano può essere riferito a stupefacente di buona qualità; “un solo martello per attaccare pochi chiodi” è sinonimo di una dose o di un grammo; “martello con la punta rotta” significa scarsa qualità della sostanza; ed infine “portare il martello per cambiare manico” è , quasi certamente riconducibile alla prassi di tagliare la sostanza o sistemarla in singole dosi pronte per la vendita».