Il 24enne Anis Amri, ricercato da giorni perché ritenuto il responsabile dell'attacco al mercatino di Charlottenburg, è stato fermato la notte scorsa a Sesto San Giovanni. Ha aperto il fuoco contro due agenti, venendo poi ucciso. Per Marco Lombardi aver divulgato le generalità dei poliziotti «crea un pericolo per la loro sicurezza»
Berlino, ucciso a Milano il presunto attentatore Esperto terrorismo: «Errore dare nome agente»
Da Berlino a Milano, dopo aver ucciso 12 persone e averne ferite decine. È il viaggio compiuto da Anis Amri, il presunto attentatore del mercatino di Charlottenburg ucciso la notte scorsa a Sesto San Giovanni, nel Milanese. L’uomo, 24 anni, fermato da una pattuglia della polizia per un controllo di routine, avrebbe sparato contro gli agenti, ferendone uno, e venendo colpito a morte dall’altro, un poliziotto siciliano in prova. Il tutto, dopo aver dichiarato di non avere documenti con sé. L’arma era già carica ed è stata estratta da uno zaino.
Il sospetto che potesse trattarsi di qualcuno coinvolto nei fatti di Berlino si è diffuso dalle prime ore della mattina, ma la conferma è arrivata soltanto dopo il rilievo delle impronte digitali. Il 24enne, stando alle ricostruzioni degli agenti, avrebbe gridato «Allah Akbar» prima aprire il fuoco.
In queste ore, tanti sono i commenti che arrivano dalle istituzioni, a partire dal ministro degli Interni Marco Minniti, che si è congratulato per l’azione delle forze dell’ordine. «Sono andato a trovarli – ha detto il capo del Viminale, parlando dei due agenti -. Grazie a loro avremo un Natale più bello, più sicuro. Il sistema ha funzionato. Dobbiamo essere orgogliosi dell’apparato di sicurezza italiano». Parole anche dal presidente del Consiglio, Paolo Gentiloni. «Credo che quanto accaduto a Sesto San Giovanni metta chiaramente in evidenza l’importanza di un accresciuto controllo del territorio», ha detto.
Tuttavia, accanto ai commenti relativi alla cronaca dei fatti, c’è anche chi ragiona sull’opportunità di aver diffuso le generalità dei due agenti che hanno fermato il presunto attentatore. I motivi sono legati ai rischi per la sicurezza per le forze dell’ordine, in una situazione in cui non si può escludere che Amri fosse sostenuto da una rete di contatti nel mondo dell’estremismo islamico. «Una scelta assurda, da ingenui – commenta Marco Lombardi, professore all’Università Cattolica di Milano ed esperto di gestione del rischio e di fenomeni legati alle politiche di sicurezza e terrorismo -. I nomi dei due poliziotti non andavano dati, è come aver messo addosso a loro un mirino».
Lombardi sottolinea come anche i vertici istituzionali abbiano corretto il tiro. «Dopo i primi commenti a caldo si sono accorti che non era il caso ripetere i nomi, ma il danno è stato fatto», aggiunge. Il rischio specifico, adesso, potrebbe essere non tanto quello di una ritorsione pianificata da Daesh, quanto poter suscitare la rabbia di qualche lupo solitario. «Qualcuno che adesso potrebbe pensare “vendicherò Amri”», conclude l’esperto.
Dopo la conferma dell’identità dell’uomo, si lavora per ricostruire il percorso compiuto dal 24enne. Stando ai primi riscontri, Amri sarebbe arrivato nel nostro Paese dalla Francia, dove avrebbe preso un treno. A provarlo sarebbero alcuni biglietti trovati nelle tasche del tunisino. Amri sarebbe partito da Chambery, in Savoia, fino a Torino. Dal capoluogo piemontese, poi, la partenza per la stazione Centrale di Milano, dove è arrivato intorno all’una. Un viaggio che si è concluso due ore dopo a Sesto, con il fermo da parte dei poliziotti e la sparatoria mortale in piazza Primo maggio.
Nel frattempo, emergono nuovi dettagli sul recente passato del presunto attentatore, legato alla Sicilia. L’uomo, infatti, era stato arrestato a Belpasso nel 2011 per violenze all’interno del centro Giovanna Romeo Sava. Il 24enne era stato segnalato come integralista dalla questura di Catania, provincia in cui il tunisino ha vissuto dall’aprile all’ottobre di cinque anni fa. Il dato è riportato in un’informativa del giugno scorso, sui clandestini ritenuti potenzialmente pericolosi. La comunicazione era stata inviata alla Direzione centrale di polizia di prevenzione, per poi essere inserita nella banca dati europea. Amri sarebbe scomparso dopo che il governo tunisino si era rifiutato di procedere al provvedimento di espatrio.