Il rapporto Pendolaria 2016 di Legambiente fotografa lo stato comatoso delle ferrovie nell'Isola. Negli ultimi sei anni tagli del 12% ai convogli e aumento delle tariffe del 7,7%. Pur riconoscendo una positiva attenzione del ministro Delrio sulle infrastrutture, l'associazione chiede di investire sul servizio
Treni, in Sicilia un quinto delle corse della Lombardia «Lo Stato non ha mai speso un euro per nuovi mezzi»
Negli ultimi sei anni tagli del 12 per cento ai treni siciliani e aumento delle tariffe del 7,7 per cento. E ancora un numero giornaliero di corse, 429, che è cinque volte meno quello della Lombardia (che ha il doppio della popolazione della Sicilia), ma anche poco più di un terzo della Campania e del Lazio, e la metà di Piemonte, Veneto e Puglia, tre Regioni con meno residenti dell’Isola. È lo stato comatoso delle ferrovie siciliane, fotografato da Legambiente nel rapporto Pendolaria 2016. A livello nazionale, sottolinea l’associazione ambientalista, «a crescere sono in particolare le differenze tra chi prende i treni ad alta velocità che aumentano ancora come offerta del servizio con il nuovo orario – sono state inserite altre quattro corse sulla Roma-Milano con un aumento dell’offerta del 276 per cento in più dal 2007, per la sola Trenitalia – e chi si muove sulla rete ordinaria, sugli intercity e sui treni regionali dove invece si sono ridotti i treni. Complessivamente dal 2010 a oggi, a seguito dei tagli sui trasferimenti da parte dello Stato si possono stimare tagli nel servizio ferroviario regionale pari al 6,5 per cento e negli intercity del 19,7 per cento».
Legambiente stile la classifica delle dieci tratte da incubo per i pendolari. E al quarto posto si piazza la Messina-Catania-Siracusa, lunga 180 chilometri. «Stiamo parlando – si legge nel report – di tre grandi città siciliane, capoluoghi di Provincia, località turistiche e porti, il più importante aeroporto del Mezzogiorno e di una linea che collega molti importanti centri costieri. Su questa linea la velocità media è di 64 chilometri orari e negli ultimi 15 anni i treni si sono ridotti addirittura del 41 per cento e viaggiano meno veloci. Per fare un esempio, è come se tra Firenze e Bologna, fossimo ancora nel 1980, senza Frecce e Italo, né una linea veloce». Il rapporto Pendolaria ricorda la chiusura per tre mesi, in estate, della tratta tra Catania e Siracusa per lavori che mirano alla velocizzazione di circa 47 chilometri a binario semplice tra Bicocca e Augusta. «Malgrado in alcune tratte i lavori si siano conclusi – denuncia Legambiente – i disservizi rimangono anche perché, come spesso avviene in Sicilia, quello che interessa è aprire cantieri. Nessuno sta pensando a come aumentare la velocità, frequenza o tipologia dei treni in circolazione. Proprio sul tratto non interessato dai lavori, Catania-Messina, sono stati frequenti anche nel 2016 i casi di guasti ai treni ed alla linea con conseguenti ritardi, anche di due ore, e soppressione delle corse». Sempre a proposito della Messina-Catania, Legambiente si chiede come mai non siano mai partiti i lavori per il raddoppio del segmento tra Giampilieri e Fiumefreddo, previsto dal contratto di programma di RFI già dal 2000. «Si tratta di un’opera dal valore di 2,27 miliardi di euro, già finanziata nel 2005 con 1.970 milioni di euro, ma che dopo le varie progettazioni, i vari studi di fattibilità, è ancora fermo».
Ma il vero problema, per Legambiente, sono i mezzi che viaggiano sui binari. La Sicilia è al terzo posto nella classifica delle Regioni con i treni più vecchi. L’età media dei convogli nell’isola è di 23,2 anni, a fronte di una media nazionale di 17,2 anni. In Sicilia il 63,5 per cento dei mezzi ha più di 15 anni. Fanno peggio solo l’Abruzzo (dove l’età media è di 24,1 anni) e la Basilicata (con 23,3 anni). Un esempio? «Sulla tratta Siracusa-Gela lo stato dei treni è mediocre tanto che gli attuali tempi di percorrenza sono addirittura superiori a quelli di 20 anni fa, come ovvio anche a causa di un’infrastruttura decisamente carente. In più, i treni circolanti tra Modica e Gela molte volte sono sostituiti interamente o parzialmente (solo per un tratto intermedio) da bus, anche a causa di guasti».
La ragione delle disparità tra Nord e Sud sta nel fatto che «l’acquisto di nuovi treni è stato garantito in questi anni da acquisti diretti da parte delle Regioni o dai contratti con Trenitalia, e ha visto meno investimenti proprio nelle regioni del Sud. E fino ad oggi il governo nazionale, a differenza di quelli degli altri Paesi europei, non ha mai speso neanche un euro per comprare nuovi treni. In particolare al Sud oggi sono numerose le linee che collegano anche importanti centri urbani (la Jonica e la Tirrenica in Calabria, Palermo-Messina, Palermo-Catania, Trapani-Palermo in Sicilia per citarne alcune) che vedono transitare ogni giorno pochissimi convogli e sempre più obsoleti». Ed ecco quindi l’appello per «una regia nazionale, in grado di indirizzare in modo uniforme le politiche in tema di mobilità e trasporti e la necessità di maggiori investimenti tali, ma è altrettanto necessaria la partecipazione delle Regioni».
Servirebbero dunque più risorse a livello centrale. «Si dovrebbe almeno recuperare quanto tagliato rispetto a otto anni fa (dal 2009 le risorse da parte dello Stato per il trasporto pubblico su ferro e su gomma sono diminuite del 25 per cento). E se con il ministro delle Infrastrutture Delrio si evidenzia una discontinuità positiva nell’attenzione verso il servizio ferroviario e negli investimenti sulla rete, occorre superare un’impostazione che continua ad essere incentrata sulle infrastrutture. Perché il problema che i pendolari vivono ogni giorno è troppo spesso la riduzione dei treni e il degrado del servizio, e in Italia – conclude il rapporto – continua a mancare un piano per rilanciare l’offerta di treni in circolazione».