No Muos, narrarsi per sfuggire alle etichette dei media Tra documentari, canzoni, street artist e tesi di laurea

«Bisogna raccogliere tutte le informazioni possibili prima di decidere che un suono è rumore»: è con questa citazione di Tom Waits che il collettivo di scrittori Wu Ming sottolinea spesso l’importanza dell’autonarrazione per i movimenti sociali. Ed è un suggerimento che gli attivisti e le attiviste No Muos hanno fatto proprio. Escludendo le cronache e i racconti giornalistici – che adesso si fanno numerosi ma dal punto di vista degli attivisti risultano spesso «parziali» e «falsati» – e provando invece a raccogliere tutto il materiale che è stato realizzato sul e dal movimento che da anni si batte contro l’installazione militare di Niscemi, si scopre che le testimonianze sono corpose, documentate e ricche di sfaccettature

Si va dai tre documentari (tutti online e autoprodotti) ai sei libri finora pubblicati, dalle sei canzoni che raccontano del movimento antimilitarista ai murales di Blu e Emajons – due tra gli street artist più noti a livello internazionale, che nel 2012 hanno adornato il quartiere santa Croce. E poi ci sono gli esempi di competenze acquisite sul campo, come accaduto con Antenne 46: un canale video che, nelle parole dei creatori Claudia Pedilarco ed Enzo Dragotta, «nasce nel 2013 dall’esigenza di documentare i fatti che accadevano ai presidi e l’evolversi dei lavori al Muos. È un gruppo indipendente il cui unico scopo è quello di essere un immediato mezzo di diffusione delle attività dei movimenti e come tutela degli attivisti No Muos». Sono video che da un certo livello amatoriale iniziale, col passare del tempo hanno acquisito anche una dignità artistica, ottenendo migliaia di visualizzazioni.

Fondamentale poi l’apporto del giornalista Antonio Mazzeo che, specie col libro Un EcoMuostro a Niscemi (pubblicato da Sicilia Punto L nel 2012), ha dato il via a una serie di pubblicazioni interne da parte degli stessi attivisti. «Il lavoro di Antonio – conferma Daniela Placenti, componente del comitato di Gela – è stato importante per lanciare il movimento e permettere l’apertura di comitati sparsi per la Sicilia. Noi ci autonarriamo semplicemente perchè non ci piace come ci raccontano gli altri, spesso col culo alla scrivania e rimasticando i comunicati della questura senza mai – dico mai – mettere piede non solo al presidio (dove scoprirebbero una comunità per loro impensabile) ma neanche avvicinarsi alla base». 

Le fa eco Salvatore Giordano, professore di Piazza Armerina che insieme alla giornalista e sociologa Antonella Santarelli ha dedicato alle vicende niscemesi altri due libri. «Ci interessava sottolineare – afferma – come esistano persone che si spendono giorno dopo giorno per vincere una battaglia che reputano importante. All’insegna della trasversalità: da noi trovi l’intellettuale che però è impacciato quando si trova alle prese con lavori manuali e il carpentiere che si imbarazza quando chiede il significato di una parola a lui sconosciuta; e queste cose le puoi descrivere solo le vivi in prima persona». 

Anche il mondo dell’università guarda da anni con interesse alle realtà di movimento. Specie l’università di Catania, che nel 2012 ha visto il primo lavoro dell’allora studentessa Loredana Romana, seguita dal professore Gianni Piazza, il quale a sua volta è stato relatore di altri tesi sul tema e ha scritto pure un saggio ad hoc – insieme alla collega Donatella Di Piazza – intitolato Il cambiamento di scala del Movimento No Muos: oltre la protesta contro l’inquinamento elettromagnetico

L’ultima tesi in ordine di tempo è quella di Valeria Indovina, proclamata dottoressa in Giurisprudenza a Palermo ad ottobre. Un’attivista che però ha deciso di coinvolgere il mondo universitario «attraverso un lavoro di ricerca scientifica e sperimentale – dice – che potesse contemplare la dimensione accademica, per via dell’imparzialità che la caratterizza, in modo da esaminare i fatti e le criticità che lo rappresentano con atteggiamento analitico. Ne è venuto fuori un difficile bilanciamento tra l’interesse alla difesa militare e quello alla tutela dell’ambiente e della salute, e dal pregiudizio che dall’installazione e dall’uso di tali costruzioni potrebbe derivare». In attesa che venga realizzato il film sul Muos, l’elenco risulta per forza di cose parziale e, c’è da giurarci, ancora in divenire.


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