A settembre ha minacciato di darsi fuoco ma l'imprenditore di Lentini, secondo il Tribunale di Siracusa, non è vittima di usura. I denunciati - tra cui un parente del boss Sebastiano Nardo - avrebbero solo chiesto i soldi investiti. Con interessi del 78 per cento, per l'accusa; con plusvalenze e tasse, per le difese
L’ex testimone di giustizia Pupillo senza protezione Giudici: «Suoi presunti usurai? Sono ex soci d’affari»
Lo scorso 18 settembre ha minacciato di darsi fuoco perché rimasto solo dopo aver denunciato i suoi presunti estorsori. Ma la storia di Angelo Antonio Pupillo – imprenditore di Lentini ed ex testimone di giustizia a cui è stato revocato il programma di protezione – per il Tribunale di Siracusa, che ha assolto dall’accusa di usura le persone che lui aveva denunciato, non ha i caratteri della vessazione. Una vicenda contorta – di cui molto si parla nei territori di Lentini e Carlentini – che comincia nel 2008 quando Pupillo entra in affari con gli stessi uomini che poi denuncerà. Questi ultimi investono 150mila euro sulla sua società di vendita auto, diventandone anche proprietari e amministratori per un certo periodo, e alla fine chiedono la restituzione di 303mila euro. Da qui l’accusa di usura che però, secondo i giudici di Siracusa, non regge a causa «dell’incertezza e della contraddittorietà del quadro probatorio».
Prima di raccontare lo sviluppo della vicenda, è bene fermarsi su una premessa: cosa c’entra Cosa Nostra e in particolare il clan Nardo, egemone in quei territori, con la storia di Pupillo? Stando agli atti giudiziari, poco o nulla. In un primo momento, dopo l’incendio che distrugge in parte l’autosalone di Pupillo nel dicembre del 2008, le indagini vengono avviate dalla Direzione distrettuale antimafia di Catania. Tra i soggetti denunciati ci sono anche Salvatore Fabio Nardo e il padre Giuseppe Nardo, «in stretti rapporti di parentela con Sebastiano Nardo, fondatore dell’omonimo clan e attualmente detenuto in regime di massima sicurezza». Tuttavia, già nel settembre del 2010, la Procura di Catania trasmette gli atti per competenza a quella di Siracusa, perché «non è possibile provare che gli indagati (mai arrestati né condannati per reati di mafia) abbiano agito al fine di agevolare l’attività del clan Nardo, né che abbiano intimidito il Pupillo con metodo mafioso».
Resta dunque in piedi il procedimento per usura nei confronti di Salvatore Fabio Nardo, Giuseppe Cantarella, Giuseppe Nisi e Salvatore Salamone, quest’ultimo condannato in primo grado all’ergastolo, nel luglio del 2015, per duplice omicidio per un debito non saldato dalle vittime. I quattro imputati sono accusati dai magistrati di avere costretto Pupillo a restituire le somme spese, pari a 150mila euro, a tassi usurari – cioè il 78,4 per cento – arrivando così a chiedere 303mila euro. La somma in più viene giustificata dagli imputati come plusvalenza e pagamento di imposte sui soldi spesi. In particolare, secondo loro, la plusvalenza si giustificherebbe perché l’azienda di Pupillo – nel periodo in cui è stata amministrata da uno degli imputati, Cantarella – avrebbe aumentato il suo valore. A questo si aggiungerebbe il risarcimento che l’assicurazione ha garantito dopo l’incendio che ha distrutto l’autosalone nel 2008.
E alla fine del processo di primo grado i giudici assolvono i cinque. La corte ritiene che «gli esborsi di denaro eseguiti in favore della società di Pupillo non abbiano costituito semplici prestiti pecuniari, ma abbiano rappresentato il frutto di un conferimento di capitale in società». Sottolinea, inoltre, che lo stesso Pupillo «ha affermato che l’ingresso in società degli imputati è stato deciso consensualmente, anche su suggerimento del dottore Lentini, direttore della Unicredit di Lentini, per potere riottenere un accesso al credito e fornire agli imputati una forma di garanzia per rientrare in possesso delle somme che stavano sborsando».
C’è poi il capitolo incendio. I maggiori dissidi tra Pupillo e gli altri imputati-ex soci nascono sulla spartizione del risarcimento garantito dall’assicurazione dopo il rogo all’autosalone, avvenuto 17 giorni dopo l’ingresso in società dei nuovi soci. In quel momento proprietari dell’immobile risultavano i Pupillo (padre e zio dell’imprenditore), mentre amministratore della società era Cantarella, uno degli imputati. «Dall’incendio si sono salvate alcune macchine usate che erano state poco prima uscite dal locale su indicazione del Pupillo», scrivono i giudici in sentenza, contribuendo al clima di mistero che ruota intorno alle fiamme. Dopo lunghi incontri con gli ex soci, Pupillo in una scrittura privata riconosce il debito di 150mila euro e si impegna a versarne 303mila giustificate come plusvalenze e imposte sulla vendita della società. In cambio gli imputati si impegnano a cedere nuovamente a Pupillo le quote dell’azienda.
Il giudice, a tal proposito, sottolinea che «Pupillo ha tratto rilevanti utilità economiche dalla propria qualità di titolare, formale e sostanziale, dell’organismo societario, grazie all’ottenimento del premio dell’assicurazione e dell’indennità legata alla normativa antiracket». E conclude non riconoscendo in un prestito le somme versate dagli imputati, quanto piuttosto in un conferimento di capitale in società. «Un quadro – scrive – che non appare idoneo a suffragare un giudizio di colpevolezza». Contro questa sentenza del Tribunale di Siracusa Pupillo ha già presentato ricorso e, al momento, si sta svolgendo il processo d’Appello. Nel frattempo, dopo aver vissuto per un periodo sotto protezione in una località segreta insieme ai familiari, l’imprenditore è tornato a Lentini ed è stato costretto a chiudere la sua attività commerciale, mentre la casa dei suoi genitori è stata pignorata.