I circa 600 lavoratori paternesi vedono sfumare ogni giorno di più le possibilità di tornare nei loro uffici di contrada Tre fontane. Le trattative di acquisto sono fallite e all'orizzonte non si presentano possibili compratori. Nel frattempo il primo cittadino Mauro Mangano spinge perché la questione arrivi a Roma
Paternò, sciopero a oltranza del call center Qè «Caso nazionale, no a licenziamenti di serie B»
Si cerca di salvare il lavoro di circa 600 lavoratori del call center Qè di contrada Tre fontane, un’azienda destinata al fallimento per i circa otto milioni di euro di debiti. I lavoratori, nel frattempo, attendono ancora la liquidazione di tre mensilità. Per tale ragione l’intero sistema produttivo dell’azienda è fermo: i sindacati di categoria hanno proclamato lo sciopero a oltranza. Sulla vicenda il primo cittadino di Paternò Mauro Mangano si sta muovendo a 360 gradi con l’obiettivo di salvare i posti di lavoro (275 a tempo indeterminato e 300 lavoratori a progetto) di centinaia di giovani residenti non solo a Paternò, ma anche nel suo hinterland. «Abbiamo tentato di arrivare all’affitto dell’attività aziendale per potere fare un passaggio di proprietà che non interrompesse la continuità occupazionale – spiega Mangano – Il tentativo è fallito».
Il prossimo passaggio proposto dall’amministrazione è l’arrivo dell’affaire Qè sul tavolo del ministero dello Sviluppo economico: «Deve essere affrontato come un problema nazionale, perché non ci possono essere crisi occupazionali di serie A e di serie B in base al luogo in cui avvengono – prosegue il sindaco – Poi vogliamo stimolare tutti gli imprenditori del settore a venire a investire a Paternò: c’è un sito produttivo di qualità e lavoratori di grande professionalità. Il lavoro è già iniziato». Nel frattempo, però, lavorano anche i sindacati. Gli incontri della Cgil e della Cisl con i lavoratori sono continui: i dipendenti al momento pensano a recuperare le tre mensilità in arretrato, attese da settimane.
I legali delle due organizzazioni sindacali consigliano di intraprendere le strade giudiziarie contro l’azienda di Manerbio, almeno per riprendere le spettanze. A questo proposito, l’amministratore delegato Qè Mauro De Angelis, nel corso di un tavolo tecnico in prefettura, avrebbe affermato di non essere in grado di assicurarne il saldo. Da qui sarebbero partiti i primi decreti ingiuntivi rivolti contro l’azienda. Per venerdì è prevista una manifestazione a Catania organizzata dai sindacati di categoria. Intanto è diventato virale l’hashtag che impazza su Twitter e Facebook: #iosonoqè, che diventa anche #siamotuttiqè. Una campagna a cui stanno aderendo cittadini, lavoratori, politici, volti noti dello spettacolo e del giornalismo, per stringersi attorno ai lavoratori del call center.
I segretari generali di Slc Cgil e Fistel Cisl, rispettivamente Davide Foti e Antonio D’Amico, hanno chiesto al presidente della Regione Siciliana Rosario Crocetta un incontro sulla vertenza Qè. «Le organizzazioni sindacali, congiuntamente al sindaco di Paternò – si legge nelle lettera indirizzata a Crocetta – hanno ottenuto un tavolo alla prefettura di Catania per ricercare soluzioni condivise di continuità occupazionale». Il tavolo tecnico, però, non ha prodotto niente di tangibile, «al netto di un’azienda, una certa Dm Group, che si inserisce all’ultimo minuto e dichiara di essere disponibile solo ad acquisire le commesse Enel inbound ed outbound e Wind outbound». Una offerta alla quale non è seguito niente di concreto. «Come può ben capire il territorio catanese non può permettersi questo ennesimo scippo fatto da imprenditori senza etica e moralità – continua la missiva al governatore – con l’unico obiettivo di saccheggiare non solo economicamente la nostra provincia ma soprattutto lasciando più di 600 famiglie nella più totale disperazione». A questo punto segue la richiesta: «Le chiediamo di intervenire al solo fine di scongiurare una emorragia occupazionale in un territorio già martoriato da mala politica o malaffare e convocare subito un tavolo regionale per supportare la vertenza delle lavoratrici e dei lavoratori di Qè call center».