Nel centro per richiedenti asilo si starebbe assistendo a una parziale riconversione non ufficiale. Il direttore Sebastiano Maccarrone esclude «un protocollo ufficiale», ma più realtà raccontano di un'intenzione prevista già da mesi dal ministero dell'Interno. E chi ci lavora parla di soggiorni-lampo dopo gli sbarchi
Immigrazione, il doppio volto del Cara di Mineo «Identificazioni ed espulsioni come in hotspot»
Una voce che adesso trova tante conferme. All’interno del
Centro d’accoglienza per i richiedenti asilo di Mineo sarebbero state attivate le procedure hotspot. Acronimo del sistema europeo, ratificato nel 2015, per le operazioni di pre-identificazione e raccolta delle impronte digitali dei migranti in arrivo. Una rete di strutture di transito, dislocate nei punti caldi di Italia e Grecia, dove i migranti possono rimanere al massimo 72 ore prima di essere spostati negli appositi centri d’accoglienza o, se ritenuti non idonei a restare, raggiunti da decreto d’espulsione che li obbliga a lasciare il Paese. Strutture spesso definite come una sorta di zona grigia del diritto – sovraffollate, con tempi di attesa più lunghi del previsto e senza la possibilità di uscire – diverse dai Cara, come quello di Mineo, pensate invece per accogliere chi deve seguire il lungo iter da richiedente asilo. Dopo gli hotspot già operativi a Pozzallo, Lampedusa e Trapani, pare che anche a Mineo si stia lavorando, senza procedure ufficiali, a identificazioni e decreti di espulsione. Come sarebbe capitato a chi «nell’ultimo periodo, nei porti di Catania e Messina», spiega Salvatore Maio, rappresentante in Sicilia del movimento umanitario Oxfam Italia.
Del
doppio volto del più grande Cara d’Europa si parla da mesi. L’ipotesi di utilizzarlo anche come hotspot avrebbe preso corpo dopo un vertice a Bruxelles con il ministro dell’Interno Angelino Alfano. Dai tavoli, intanto, si è passati all’apertura di tre dei cinque centri previsti, con l’esclusione di Porto Empedocle e Augusta. Nella città megarese, tuttavia, si starebbe facendo fronte alle situazioni di emergenza con alcune tensostrutture, montate all’occorrenza e destinate alle operazioni di pre-identificazione. «Durante una riunione a Catania, avvenuta nei mesi scorsi, un responsabile dei diritti civili del ministero ha parlato della volontà di riorganizzare il Cara per le procedure legate al sistema hotspot», rivela Maio a MeridioNews. In assenza di una comunicazione ufficiale, tuttavia, pare che una prima sperimentazione sia davvero iniziata. «Si lavora meglio – racconta una voce anonima che quotidianamente si reca dentro il Cara – i migranti arrivano, anche a centinaia, ma restano al massimo due giorni e poi vengono smistati altrove».
A fronte di una
capienza da contratto di tremila ospiti – ma che in passato ha superato le quattromila presenze -, attualmente nella struttura «ci sono 2500 persone», spiega il direttore Sebastiano Maccarrone. Che parla anche di «numeri più che dimezzati e situazione tranquilla». Escludendo «un protocollo ufficiale legato alle procedure hotspot». Gli ultimi autobus arrivati al Cara dai porti siciliani sono quelli provenienti da Catania: 287 persone che sono approdate nel capoluogo etneo lo scorso 13 maggio e circa 200 arrivate il 18 maggio. Scelte che avevano portato anche la Rete antirazzista catanese a interrogarsi sull’utilizzo del Cara come hotspot.
Collegato alla gestione degli hotspost c’è poi il
sistema della ricollocazione. Un tentativo, come sottolinea Oxfam nel suo ultimo rapporto, di aggirare il trattato di Dublino per consentire di presentare domanda d’asilo in uno Stato diverso da quello del primo ingresso. «Un cocente fallimento», lo definisce il movimento. Perché su 4516 persone da trasferire nei vari Paesi, «fino all’11 aprile solo 1145 persone erano state ricollocate, 615 dalle Grecia e 530 dall’Italia. Appena il 2,8 per cento del totale». Un meccanismo costruito con ingranaggi inceppati e che si cerca di sbloccare con procedure sempre più veloci, tanto da risultare superficiali. Come la possibilità, paventata da Alfano a Catania durante l’apertura della sede Frontex, di effettuare identificazioni e decreti d’espulsione direttamente in mare con gli hotspot galleggianti.
E proprio il titolare del Viminale era stato interrogato dal
Movimento 5 stelle sulla parziale trasformazione di Mineo da Cara a hotspot. «Un sospetto fondato», spiega la deputata pentastellata Marialucia Lorefice, componente della commissione parlamentare d’inchiesta sui migranti. «Abbiamo avuto conferma anche dal prefetto Mario Morcone (capo dipartimento del Viminale per le Libertà civili e l’immigrazione, ndr). La nostra posizione su questa vicenda è chiara da tempo: chiediamo la chiusura perché si tratta del simbolo di Mafia capitale».