Età dei docenti: realistica risposta, realistica soluzione

Ci sono molti modi per approcciare la questione dell’età avanzata dei docenti universitari e quelli utilizzati più di frequente mi ricordano quanto si dice e si fa nei confronti dei tempi della Giustizia.

I tempi dei processi sono troppo lunghi, si dice, e si rispolvera il caso di quel giudice che in non so quanti anni non ha emesso la sentenza (chissà se qualcuno ha pensato al probabile numero di teste di agnello, mucca, animali vari che avrà trovato inchiodate alla porta di casa, mentre le parti alte dello stato sono impegnate con le frequenze TV e altre amenità, ma questa è un’altra faccenda).

Possiamo disquisire di tempi e modi finché vogliamo, ma fino a che i cancellieri non ci stanno, i Giudici devono scriversi tutto da sé, le stanze e gli armadi strabordano di quintali di faldoni, il processo potrà sveltirsi solo con la strada intrapresa, ovvero … depenalizzando i reati dei colletti bianchi. Per maggiore efficacia, e migliore equità, immagino si proseguirà con quelli di mafia e manovalanza. Si vedrà.

Che c’entra tutto questo con l’età media dei docenti piuttosto altina? Semplice: per quanto ci possa piacere, la questione non può essere semplificata astraendosi da tutto il resto. Almeno, se si vuole uscire dal gossip per trovare soluzioni praticabili.

Primo: l’età alta (torno da Venezia, mi è venuta spontanea questa espressione…) non è una maledizione divina, ma è strettamente connessa al fatto che i concorsi sono espletati con le frequenze che conosciamo, perciò i più giovani non possono trovare facilmente spazio prima di diventare meno tali, anche tenendo conto che occorre un tempo di formazione che per un ricercatore è quello che è, se non vogliamo fare retorica spicciola.

Altra questione è tremendamente di fondo: chi si occupa di tutto ciò che non è conduzione della ricerca? In tutto il nostro Paese, e probabilmente al sud più che altrove, chi si occupa e con quale livello di efficacia degli aspetti amministrativi dei Dipartimenti? Davvero ignoriamo che in tanti casi sono proprio i docenti – giovani e meno giovani – che debbono risolvere questioni che fanno loro perdere un sacco di tempo? Chi si occupa di procurare e di gestire i finanziamenti? Altra perdita di tempo clamorosa. E perché perdura il dannato equivoco insegnamento – ricerca con “perdite di tempo” incolmabili a svantaggio ora dell’una ora dell’altra attività?

Per finire, mi sembra un profilo molto modesto quello con il quale attualmente la questione dell’età media dei docenti viene affrontata. Una strada che spunta deve partire da una analisi complessiva e per questo complessa, ma non per questo impossibile a farsi in tempi brevi ed in maniera efficace.

Se fossimo abituati a leggere i fatti con l’etica della Qualità e del Miglioramento Continuo, non sarebbe difficile individuare ciò di cui abbiamo veramente bisogno, formare il personale non docente secondo obiettivi chiari, reperire manager amministrativi e fund raisers in grado di svincolare il povero docente dalla necessità di dover fare da sé un mare di roba. Potendosi in tal modo dedicare alla ricerca e, ovviamente, bruciare le tappe della carriera.

Ora dirò qualcosa che non piacerà. Sicuramente non siamo all’anno zero, e certamente non nel nostro Ateneo, ma, più in generale, che speranza c’è che tutto questo possa essere chiesto e possa poi essere messo in atto in strutture pubbliche ove gli stipendi siano assicurati ogni 27 del mese indipendentemente da ogni risultato?

Da realistica risposta, realistica soluzione.

Giampaolo Schillaci è professore ordinario presso la Facoltà di Agraria dell’Università di Catania


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