Malaspina, una start-up per dare chance ai ragazzi «Cotti in fragranza, un biscottificio progetto di vita»

Cotti in fragranza. Parliamo di biscotti ma anche di giovani con un passato difficile che, dopo alcuni anni di detenzione, ora cercano una via di per il riscatto. Ed è tutto racchiuso nel gioco di parole il senso dell’iniziativa promossa dal carcere minorile Malaspina di Palermo per sostenere i propri ragazzi nel delicato percorso di riabilitazione sociale. Un progetto nato due anni fa e che ora sta per vedere la luce. I prodotti da forno che si chiameranno, appunto, Cotti in fragranza, verranno preparati all’interno dell’istituto, secondo una ricetta depositata e appositamente preparata dal noto chef palermitano, Giovanni Catalano, vicesegretario della federazione italiana pasticceri e capo pasticcere di Oscar. Per la preparazione dei pasticcini, ci saranno ingredienti di alta qualità come i mandarini tardivi di Ciaculli coltivati nei terreni sequestrati alla mafia dell’associazione JusVitae di Padre Antonio Garau.

«Per il nostro istituto – racconta il direttore Michelangelo Capitano – si tratta del primo esperimento di impresa sociale, un progetto interamente finanziato con fondi privati, messi a disposizione dalla Fondazione San Zeno di Verona mentre il forno è stato donato dall’Associazione nazionale magistrati (Anm). Se non dovesse decollare – commenta – sarà comunque il fallimento della nostra idea più che del biscottificio: l’importante è dare una chance a questi ragazzi». Con il  coinvolgimento di 5-6 detenuti, la start up durerà un anno e il suo futuro dipenderà dal successo, anche commerciale, che riscuoterà. Intanto, nei locali ristrutturati dell’istituto, sono pronte tutte le attrezzature necessarie. La produzione potrebbe partire già a fine mese con una previsione di 100 chili al giorno di pasticcini ma mancano ancora le autorizzazioni sanitarie. «Per distribuirli – prosegue – ci appoggeremo alla rete di vendita Taste of Freedom che raccoglie e collega tutti gli istituti penali d’Italia mentre per la vendita bisognerà attendere il mese di luglio».

Ma questo è solo uno dei tanti progetti messi in campo dall’istituto che al momento ospita una trentina di detenuti per la maggior parte, i due terzi, maggiorenni, quasi tutti condannati per reati gravi come rapine o omicidi che prevedono pene piuttosto lunghe. «Per accedere alle misure alternative alla detenzione – spiega – occorre ottenere un impiego, un progetto di vita». Per quanto impegnativo, questo obiettivo consente all’istituto  di predisporre un progetto individuale per ciascuno di loro, dalla scuola all’attività esterna, seguendoli per un periodo piuttosto consistente. «Fino a qualche tempo fa ci basavamo sulla scuola e sulla formazione professionale – chiarisce – ma ora dobbiamo pensare nell’ottica di creare noi le condizioni perché ciò accada. E visto che le occasioni sono poche per tutti e ancor meno per i nostri ragazzi, dobbiamo inventare noi il lavoro».

Da qui l’idea del biscottificio anche se all’interno del Malaspina le proposte non mancano: i ragazzi coltivano anche la curcuma e lo zenzero in collaborazione con l’università di Palermo. Un percorso di recupero che dà i suoi frutti: ogni anno almeno 5-6 ragazzi ospiti dell’istituto trovano un impiego e il tasso di recidiva è ormai molto basso. «Per chi commette un omicidio mediamente si sconta una pena dai 10 ai 15 anni – sottolinea – e visto che non si tratta di sicari consumati ma di ragazzi la cui personalità non è ancora stata plasmata, c’è la speranza che non ripetano lo stesso errore».

Tra i tanti ragazzi passati in questi anni dalle porte dell’istituto, cresciuti a stretto contatto con gli educatori e il personale, alcuni di loro hanno lasciato il segno come un detenuto di Catania. «Aveva un trascorso di reati gravi e reiterati – racconta – e proveniva da un quartiere molto complicato. Con noi ha compiuto un percorso bellissimo e alla fine abbiamo fatto insieme un progetto di fotografia subacquea. Quando è andato via mi ha regalato un quadro che aveva dipinto. Nella dedica ha scritto che l’istituto era stato un porto sicuro dov’era riuscito finalmente a trovare la tranquillità: è brutto che sia così ma – conclude – è anche bello che è accaduto dopo».


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