L'Extrabar, i gelati di Giovenco, Flaccovio, TelePatrizia. Un lettore palermitano ripercorre con la memoria immagini di una città che non esiste più, complice la chiusura di tante attività che hanno scandito il tempo e le giornate di molti e che adesso hanno ceduto - o stanno cedendo - il passo
I locali storici chiusi che restano nella memoria «Da Cofea al bar Alba, serve legge sui ricordi»
M’avete tolto l’Extrabar al Politeama col signore gentile alla cassa che faceva festa a mio nonno e mio padre. E senza che abbia mai potuto assaggiare la genovese con la conserva di mia nonna. M’avete tolto il Pinguino con le caramelle frizzanti alla cassa e il pavimento appiccicoso. Non è uguale prepararsi un autista a casa. Viene una roba per malati non una miracolosa pozione digestiva. E poi in giro non ci sono più i turisti impauriti dall’eruzione improvvisa di schiuma, perché quel fango al bancone li sgamava e ci chiantava doppio bicarbonato.
M’avete tolto Coffa con la broscia caffè di quando ero un muzzune. Ora voi che ne dovete sapete di gelato? Io me la ricordo ancora la broscia e la mia faccia riflessa sulle vetrine di Giovenco. E pure lui m’avete tolto, che se a mia moglie incinta veniva una voglia non sapevo più dove andare. M’avete tolto Roney con i tramezzini e i tischi toschi con il mignolo alzato mentre prendevano il caffè. Ora c’è il nulla, invece dell’eleganza in veranda. M’avete tolto Hugony e l’elegante signore che per settimane ha apparecchiato e sparecchiato il mio servizio di ceramica inglese.
M’avete tolto Flaccovio prima che avessi potuto decidere quale dei diari del Villabianca portare a casa. Erano troppi e ogni volta tornavo con questo pensiero e con un nuovo La Duca o Billitteri o Santoro. Tornavo non prima del caffè da Mazzara, che ovviamente mi avete tolto, insieme al sogno che un giorno come Tomasi di Lampedusa, seduto ai tavoli interni avrei scritto il mio grande romanzo su Palermo. M’avete tolto Miraglia, Caflish, il L’Ora, il Pettegolo, il Piccolo Teatro e Nostro Padre alla punta di via Aurispa. TelePatrizia, CTS che io la vé / la vé / la vedo tuttiggiorni! Tele Sakura, altro che Youporn!
E ora mi state togliendo Alba? E il bacio? E l’arancina abburro? E la mia coppetta piccola a limone dopo la messa al Don Bosco? Erano gli anni ’70 e la messa era beat con il complesso che suonava dal vivo, i pantaloni a zampa d’elefante e i capelli lunghi. E il mio maglione con le trecce! No picciò ora vi state facendo nuocere, certe cose bisogna tenerle in vita. Sono monumenti, come il Teatro Massimo o la Cattedrale. Che significa che non ci sono i soldi? Ci vorrebbe una legge, una buona, che invece di tutelare il petrolio o le banche, protegga i ricordi e i luoghi dove essi sono stati concepiti. Come dei figli belli che magari stanno lontani, ma che sai che ogni tanto, per le feste, ti verranno ancora a trovare.
Marco Camalleri