Alcuni manifestanti vestiti di nero, mani e viso sporchi di olio. E un grande striscione: «U mari 'nsi sputtusa». Anche a Catania si è svolta l'iniziativa lanciata dall'associazione ambientalista per sensibilizzare l'opinione pubblica sul voto del 17 aprile. Guarda le foto
Piazza Stesicoro, un flash mob contro le trivellazioni Greenpeace: «Referendum può fermare piattaforme»
Vestiti di nero, con le mani e il viso sporchi di olio e un grande striscione con la scritta: «U mari ‘nsi sputtusa». Così alcuni volontari di Greenpeace hanno dato il via a un flash mob per sensibilizzare l’opinione pubblica sul referendum del 17 aprile sulle trivellazioni in Italia. Tra poco meno di un mese gli elettori voteranno per abrogare una norma, contenuta nel decreto Sblocca Italia, che consente l’estrazione «per la durata di vita utile del giacimento». Così come previsto dal governo sarà possibile portare avanti l’estrazione fino all’esaurimento del combustibile. Se il referendum raggiungesse il quorum, con la maggioranza per i Sì, le operazioni dovranno fermarsi al termine delle concessioni. La manifestazione, che si è svolta in tutto il Paese, a Catania ha animato piazza Stesicoro.
«Il 17 aprile gli italiani hanno la possibilità di fermare le piattaforme più vicine alle nostre coste», è l’appello di Greenpeace, una posizione che però non è condivisa da tutti. Le trivelle «producono solo il tre per cento del gas di cui l’Italia ha bisogno, e lo 0,8 per cento del nostro consumo annuo di petrolio, ma lo fanno inquinando, e molto», sostiene Andrea Boraschi, responsabile della campagna Energia e clima. L’associazione ambientalista denuncia che la scorsa estate sono stati chiesti al ministero dell’Ambiente i dati relativi al monitoraggio delle piattaforme italiane, ma sono stati ricevuti solo i riferimenti al triennio 2012-2014 di 34 impianti. «Sulle altre piattaforme operanti lungo le nostre coste, un centinaio, o non ci sono monitoraggi o i dati restano segretati: in entrambi i casi si tratta di una prospettiva inquietante».
Sulla base dei numeri accessibili, comunque, le contaminazioni sono «ben oltre i limiti di legge per le acque costiere per almeno una sostanza chimica pericolosa nei tre quarti dei sedimenti marini vicini alle piattaforme». A questo si aggiunge il rilevamento sui mitili, come le cozze, che si trovano nei piloni delle strutture in attività. «Si trovano metalli pesanti e idrocarburi, sostanze tossiche e in alcuni casi cancerogene – elencano i referenti di Greenpeace – in concentrazioni talvolta abnormi, paragonabili a quelle che si riscontrano in ambienti contaminati da grandi sversamenti di greggio, come nel disastro della petroliera Prestige in Galizia».