Favorita, così muoiono le piante secolari Volontari: «Pulizia? Non durerà a lungo»

Fino a dieci giorni fa la Favorita era la grande incompiuta dell’Orlando quater, tanto da costare la testa di due assessori al Verde, Giuseppe Barbera e Francesco Maria Riamondo. In base alle promesse della campagna elettorale del 2012 il sindaco avrebbe voluto farne il Central Park di Palermo. Ma così non è stato. Certo, da inizio marzo è stato avviato un massiccio intervento di restyling che vedrà impegnati fino a fine mese oltre 300 operai delle partecipate in attività di pulizia, manutenzione e rimozione di centinaia di tonnellate di rifiuti abbandonati.

Ma c’è chi pensa che non basta una bella lucidata per rendere giustizia alla Real Tenuta. Oltre 1.250 ettari di verde tra il parco vero e proprio e Monte Pellegrino che raccontano la storia e la bellezza della macchia mediterranea. Già l’ex assessore Barbera, promotore quando era in carica di un piano d’uso condiviso da associazioni, Ranger e cittadini comuni, aveva bacchettato l’amministrazione perché «oltre a tutelare i valori naturalistici occorre rilanciare quelli agricoli e culturali». Per il docente di Agraria bisognerebbe puntare sul recupero delle testimonianze storiche come le ville, i muri o le antiche aree di caccia, sulla creazione di itinerari naturalistici, ciclabili o pedemontani, sullo sport all’aperto, sulla mobilità dolce e sostenibile, sull’offerta di zone di ristoro, culturali e ricreative e soprattutto sul ritorno in grande stile dell’agricoltura.

Idee in linea con lo spirito di iniziativa dell’Associazione Produttori Parco della Favorita, un gruppo di volontari che da un anno tenta di salvare – a spese proprie – i resti di quel che un tempo erano boschi, orti e giardini, vanto della Conca d’Oro. Sulla Favorita oggi non c’è un’intesa neppure sul modello gestionale – è un parco urbano o una riserva? –, affidato a tre enti diversi: Comune, Regione e Ranger. «Da generazioni ci occupiamo della Favorita ma il declino degli ultimi trent’anni è mostruoso», dice un rappresentante dell’associazione, il fotografo e agricoltore Francesco Paolo Cusimano. «L’agricoltura ha un ruolo fondamentale. Bisogna sapere – spiega – che tutte le piante monumentali della Favorita non sono autoctone. I lecci, ad esempio, di solito crescono a certe altitudini e sono stati inseriti all’interno del parco solo grazie all’agricoltura. A causa dell’abbandono delle coltivazioni in questi decenni sono morti alberi secolari e i lecceti sono tutti compromessi. La pulizia è utile ma durerà sei mesi, poi gli alberi riprenderanno a morire».

Un progetto di rilancio dell’agricoltura, in verità, c’era. Ma è rimasto lettera morta. Un anno fa, anche grazie alla partnership della Confederazione italiana agricoltori, i volontari hanno avviato alcuni interventi essenziali: un po’ di pulizia, qualche potatura, la coltivazione e la raccolta dei mandarini. Tutto in autofinanziamento. «Da mesi aspettiamo un bando per mettere a sistema il lavoro che stiamo già svolgendo – fanno sapere dall’associazione -, nell’attesa lavoriamo come volontari. Ma siamo stanchi. Siamo sempre in perdita, non possiamo permetterci neanche un sito web. Paghiamo tutto con soldi nostri. Il Comune dovrebbe fare un bando per l’assegnazione di alcuni terreni a scopo agricolo, ma noi potremmo partecipare solo con affitti a cifre irrisorie perchè non abbiamo ricorse».

Cusimano, memoria storica del parco, racconta di essere «uno dei pochi agricoltori rimasti alla Favorita, il più giovane ha settant’anni. In alcuni settori non si pota da vent’anni – sostiene -. Vengono curati soltanto i mandarineti più in vista come in viale Diana o vicino Casa Natura. Sono coltivati male ma perlomeno vengono innaffiati una o due volte l’anno. Tutta la zona interna, invece, è in uno stato pietoso». All’avvio del progetto dell’Associazione Produttori i volontari accorsi a dare una mano erano un’ottantina, adesso sono poco più di venti. «Il Comune ci ha dato una mano fornendo alcune attrezzature ma non si può lavorare sempre gratis, sotto il sole cocente o la pioggia. Non bastano piccole iniziative come gli orti condivisi o l’affitto di alcuni terreni per rilanciare il parco. Per portare gli alberi a produzione ci vorrebbero dai tre ai cinque anni di lavoro». L’anziano contadino smonta il sogno del Professore di trasformare la Favorita in un Central Park nostrano: «Non funziona, si deve puntare sulla sperimentazione come si faceva una volta quando davamo lezioni a tutta l’Europa su come si coltivano le piante esotiche. Un po’ come si fa all’Orto Botanico».


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