Le quasi mille pagine dell'ultima relazione della Direzione nazionale antimafia restituiscono un quadro di Cosa nostra etnea alla ricerca di un equilibrio interno e con la «casa madre panormita». A tentare di prendere il posto della storica famiglia catanese è il clan più ricco e numeroso della città
Mafia: Santapaola deboli, Cappello in ascesa «C’è tentativo di accreditarsi coi palermitani»
«Cosa Nostra catanese gode di una sorta di autonomia istituzionale e gestionale e risulta, allo stato, slegata dai tradizionali vincoli associativi o federativi regionali». Una piovra che resta viva ma che ormai da anni deve fare i conti con difficoltà enormi. È questa la diagnosi della Direzione nazionale antimafia sullo stato di salute dell’unica famiglia di Cosa nostra presente a Catania: quella dei Santapaola–Ercolano. Un doppio cognome frutto del legame di sangue nato dopo il matrimonio tra Pippo Ercolano e la sorella di Nitto Santapaola. Morto il primo – il 29 luglio del 2012 a 76 anni -, sepolto dietro le sbarre il secondo, ormai 78enne. Dopo di loro un vuoto che in tanti cercano di colmare. Su tutti, il clan Cappello. Non ancora maturi sotto il profilo diplomatico, ma forti sotto quello strategico per provare a proporsi come interlocutori credibili di Cosa nostra palermitana. E se la lotta per il potere potrebbe portare, secondo i magistrati, a «nuove bellicose fibrillazioni sul territorio», lo stesso non succede negli affari. Settori in cui la mafia etnea dimostra di sapere fare rete per sopravvivere ai contraccolpi giudiziari.
Il traffico di droga, il maggiore business di Cosa nostra etnea
Le indagini hanno fatto registrare «non solo la contiguità geografica di alcune piazze di spaccio, in particolare nel quartiere di San Cristoforo» ma anche un «dato inedito»: gli affari che Cappello e Santapaola concludono con «i medesimi fornitori di stupefacenti di provenienza straniera. Una sorta di struttura federale e flessibile non formalizzata». Una collaborazione che però non sembra valere per tutti. «È stata costatata una sostanziale emarginazione – si legge nella relazione – del gruppo dei fratelli Nizza che avevano il totale monopolio delle piazze di spaccio». A interrompere la scalata è stato proprio il pentimento di uno dei componenti della stessa famiglia, Fabrizio Nizza. Oltre all’arresto di Daniele. Resta invece ancora latitante Andrea, ricercato numero uno da oltre un anno.
Il declino dei Santapaola e l’ascesa del clan Cappello
Ma è sul controllo del territorio che emergono tutte le spaccature della criminalità organizzata etnea. Che conta, oltre alla famiglia Santapaola, diversi altri gruppi: Laudani, Pillera, Cursoti catanesi, Cursoti milanesi, Sciuto- Tigna, Piacenti-Ceusi. E sopratutto il clan in ascesa Cappello-Carateddi. Una cosca che può vantare diverse centinaia di esponenti dichiarati – «numericamente più consistente nel territorio del capoluogo etneo» – molti dei quali «transitati dalla famiglia Santapaola». Cambi di casacche che hanno creato «una situazione di tensione caratterizzata dalla ricerca costante di equilibri, che sono instabili». Esempio chiaro è la guerra di mafia che stava per scoppiare a Catania nel 2009, dopo i passaggi dei gruppi Squillaci–Martiddina di Piano Tavola e Strano di Monte Pò nelle file dei Cappello. A fermare le pulsioni criminali ci pensarono gli inquirenti con le operazione Revenge e Summit; quest’ultima portò in manette i principali vertici dei Santapaola mentre nelle campagne di Belpasso decidevano la strategia da adottare per riconquistare il terreno perso.
La situazione nella provincia di Catania
Il vuoto dei Santapaola non si limiterebbe però soltanto alla città di Catania. Calatabiano e la Piana di Catania – così come Catenanuova, nell’Ennese, e parte del Siracusano – sarebbero ormai proprio in mano ai Cappello. Così come la fascia jonica vede il predominio del clan Laudani, insieme ad Adrano, tramite la famiglia Scalisi-Scarvaglieri; Paternò, con il gruppo Morabito-Rapisarda; e i territori di Randazzo, Maletto e Maniace dove cammina la famiglia Ragaglia e i Mazzei. I Santapaola non mostrano segni di ripresa nemmeno nell’altra famiglia riconosciuta ufficialmente: quella di Ramacca nei pressi di Caltagirone. Dopo l’operazione Iblis, che consentì la cattura di alcuni tra i presunti vertici – Rosario Di Dio e Pasquale Oliva – «appare irreversibile la perdita del controllo del territorio».
I rapporti con Cosa nostra palermitana
La ricerca di un equilibrio interno e le lotte per la leadership mafiosa interessano anche l’altro lato dell’Isola. Dove Cosa nostra palermitana attende ancora di capire chi possa essere il suo referente stabile. Gli investigatori registrano un tentativo, specie nell’area dei Cappello, «sponsorizzati da elementi di spicco di alcune famiglie mafiose palermitane», di creare una seconda famiglia di Cosa nostra «che dovrebbe soppiantare quella dei Santapaola-Ercolano». Per reazione, all’interno dello storico sodalizio mafioso etneo, c’è chi non si rassegna ad abdicare al ruolo di primo piano, spingendo per la ricerca di un nome interno credibile da proporre ai palermitani. Secondo i magistrati, la partita a due è ancora in bilico. «Sul piano strettamente militare, economico e di presenza sul territorio, altre famiglie mafiose (Cappello-Carateddi) hanno, allo stato, un potenziale superiore, ma di certo non godono della piena fiducia della casa madre palermitana e non dispongono di un codice genetico mafioso paragonabile a quello della famiglia Santapaola».