Reportage - Il bello e il brutto del mercato del pesce, tra masculinu vivo vivo e branzini che sembrano ballerine. Le condizioni igeniche sono spesso dubbie ma il pesce fresco, assicura la signora Gina, lo riconosci dall'occhio
Bazar Piscarìa
La folla è immensa. Sembra di essere a una festa di paese con le tante bancarelle colorate, la confusione e il vociferare dei venditori che richiamano l’attenzione di passanti distratti sulle loro mercanzie. “A’ piscaria” il pesce non è certo l’unica attrattiva per i turisti: baccano, caos, una moltitudine di gente fa da cornice. Il resto, appunto, è il pesce.
Le numerose bancarelle si susseguono una di fianco all’altra in una lunga serpentina che costeggia la strada a destra e a sinistra, ammassate tra di loro in un ordine prestabilito, convenzionale, con i loro enormi tendoni colorati che nascondono il cielo e sembrano racchiuderci sotto la loro protezione.
Dei branzini sono sdraiati sul bordo delle cassette di legno, rigidi e in bilico su un fianco con la coda e la testa curvate verso l’alto. Sembrano delle ballerine sulle punte. Un grosso dentice è accomodato in posizione vitale su un muretto, circondato da ogni sorta di prodotti ittici, generosi doni di Nettuno. Le strade sono bagnate e tutt’intorno c’è “ciauru” di mare. Molti banconi sono allestiti con accortezza e un certo ordine. Hanno in alto un enorme tendone che funge da protezione. Attaccate ai raggi di questo, una o più lampade penzolano a pochi centimetri dal pesce, facendo risaltare la sua brillantezza. In alcuni casi c’è anche un telo che nasconde la parte bassa del banco dallo sguardo dei curiosi.
“Masculini a sei euru e cinquanta!” grida un pescivendolo con un grembiule bianco maculato e capelli brizzolati coperti da un berretto di lana blu. Ma la nostra attenzione è rapita per un istante da un pescatore, alto, sulla sessantina, cappello blu con visiera, occhiali da vista, camicia a righe, jeans e immancabili stivaloni verdi da pescatore. Impugna un polpo dalla testa, per mostrarne la vitale freschezza ai possibili acquirenti. Il poverino sembra volersi liberare da quella stretta, dimenandosi e muovendo freneticamente i propri tentacoli. È una vera attrazione per i turisti, che non si fanno scappare l’occasione di immortalare la scena con qualche foto.
“A ottu euru, giovane!”, urla un altro pescivendolo appena ci vede passare. Sembra di essere a un’asta, con la sola differenza che qui sono i venditori a fare il prezzo per la merce che offrono ed espongono in bella vista ai compratori, richiamandoli con le loro grida in un colorito idioma dialettale. Ci avviciniamo di qualche metro per vedere meglio cosa sta vendendo. Ha una piccola bancarella formata soltanto da un’ampia bacinella di plastica, che sorregge una cassettina di legno piena per metà di bianchetto, il pregiato neonato che tutti siamo abituati a cucinare a polpette.
Niente protegge questa merce. In questa parte del mercato, nella piazza dietro la cosiddetta fontana “Acqua a linzolu”, le bancarelle sono fatiscenti, improvvisate, senza neppure un tendone che dia l’impressione di una pseudo-preservazione degli alimenti esposti. Sono allestite alla buona in pochissimo spazio, con le cassettine di legno a fare da banco per l’esposizione del pesce a mezzo metro dall’asfalto lastricato, sostenute da miseri recipienti di plastica o addirittura da altre cassette. I pescivendoli, dopo aver sviscerato i pesci, gettano con estrema disinvoltura le interiora a terra, e così ben presto le strade si ricoprono di teste, lische e viscere e le mattonelle in pietra lavica si tingono del rosso del sangue. Un comportamento usuale che denota uno scarsissimo rispetto dell’ambiente urbano da parte dei commercianti.
Sulle scale che portano in questa piazza, mentre i turisti scattano ancora qualche foto per avere dall’alto una veduta migliore del mercato, un vigile urbano chiacchiera con qualche passante. Ci avviciniamo per rivolgergli alcune domande. Ha un aspetto severo, con baffi e capelli bianchi, occhi azzurri e viso squadrato, ma si dimostra subito molto disponibile. “I controlli sanitari sulla merce in vendita qui alla Pescheria avvengono a monte, nei grandi mercati ittici“, ci spiega con tono pacato. “Ma i controlli sono effettuati comunque anche qui, di tanto in tanto, da polizia e carabinieri alla chiusura del mercato”. Mentre parliamo sopraggiunge un altro vigile dalla corporatura robusta, con occhiali da sole, viso rotondo e rosso, forse accaldato dall’arsura. “La Pescheria è un’istituzione”, ci racconta quest’ultimo, “Qualche tempo fa il Consiglio Comunale aveva provato a far sgombrare tutti i banchi della Pescheria per avviare il progetto di un mercato al coperto, come avviene già in molte altre città, ma la sollevazione da parte dei commercianti, contrari al progetto, ha costretto la giunta a fare un passo indietro”.
Nella parte del mercato dedicata alla carne, alla frutta e alla verdura, l’intenso tanfo del sangue primeggia su qualsiasi altro odore. I banconi sono uno a ridosso dell’altro, le strade sembrano molto più strette di quel che sono in realtà. Anche qui la carne è esibita in bella mostra, all’aria aperta, su ampi taglieri di legno infradiciati perpetuamente di un rosso porpora che non andrà più via, infilzata e appesa su spessi ferri a uncino che grondano sangue. Questo, goccia dopo goccia, si accumula in un minuscolo stagno sull’asfalto ai piedi del bancone. Un agnellino scuoiato, fissato dalle zampe posteriori a uno di questi obbrobriosi uncini, si riflette dentro la pozzanghera di sangue. La sua carne nuda è torturata dalla frenetica danza di una mosca che gli ronza intorno, poggiandosi insistentemente ora sul torace immobile, ora sulle zampe, ora sulla testa fredda, a suggere quella goccia di sangue raccolta nell’angolo dell’occhio.
Giorgio è un turista, alto e robusto, occhi scuri, capelli brizzolati e molto loquace. Indoviniamo dal suo accento una provenienza settentrionale. Ci racconta la differenza tra questo tipo di mercato e quelli del nord, più ordinati, meno caotici e sicuramente più sicuri dal punto di vista igienico. “Sono sbalordito. Al nord è impensabile trovare gli alimenti, soprattutto la carne, fuori dai banconi frigoriferi o sul ciglio delle strade come succede qui da voi”, ci racconta, “Non riuscirei mai ad acquistare la carne qui”. Poi continua: “Ma è molto caratteristico e non sarebbe tale se avesse un’altra connotazione”.
Torniamo di nuovo nel cuore della Pescheria, tra i banconi, la gente, i pescivendoli e i pescatori. Sì, perché qui non tutti sono pescivendoli, come ci hanno spiegato poco prima i vigili. Alcuni sono anche pescatori che allestiscono il proprio bancone con pochissima cura e vendono il prodotto che hanno pescato durante la notte precedente. È facile capire chi potrebbe essere un pescatore: lo si riconosce dalla scarsità della merce che espone, il più delle volte limitata a una sola tipologia ittica.
Gina, una signora robusta e grassottella, dai capelli rosso henné e riccioluti, sta acquistando del pesce in una delle tante bancarelle. “Qua il pesce è buono, si può fidare, è bello fresco e te ne accorgi dall’occhio lucido e dalle branchie rosse”. La signora Gina ci ha svelato un grande segreto, perché alla Pescheria quello che è importante per i clienti non è la provenienza dubbia del pesce o il controllo sanitario o l’eventuale assenza d’igiene, ma la freschezza dei prodotti e la possibilità di sapere di quale commerciante potersi fidare.
Mentre osserviamo l’abbondante varietà di pesce di una bancarella sotto gli archi della marina, più in là un pescivendolo sta scuoiando dei palombi lunghi pressappoco un metro. La scena è impressionante. Con una spettacolare agilità di mani e coltello stacca la pelle liscia e grigiastra di uno di essi che, per la loro notevole somiglianza agli squali, anche se piccoli e inermi sul bancone, suscitano comunque un po’ di paura. Una volta rimasto nudo della propria pelle, possiamo vederne la carne biancastra tendente al rosa, con i tagli delle fessure branchiali vicino alla testa appiattita. Ma non abbiamo il tempo di osservarlo nella sua nudità che il pescivendolo lo spezzetta e lo adagia, con un lesto lancio, sul piatto di alluminio ingiallito dal tempo di una bilancia.
Le urla dei commercianti continuano. Alcuni di loro hanno ribassato il prezzo della merce per non rischiare di rimanere con qualche invenduto alla fine della giornata. Il rumore dei coltelli sui taglieri si mescola alle voci, al brusio dei numerosi passanti; il miasma dell’acqua putrida con un ricordo di mare si miscela all’odore persistente e corposo della carne che si avvia a una lenta decomposizione. Gli isolati controlli sanitari e la leggerezza nell’applicare le basilari norme igieniche da parte dei commercianti restano un problema da non trascurare. Il resto è un bazar di colori, schiamazzi, trambusti e olezzi che decora questo mercato all’aperto fino a renderlo intoccabile nella sua storicità.