Riammesso a Castelvetrano Lillo Giambalvo, assolto dall'accusa di concorso esterno alla mafia. Nelle intercettazioni giurava fedeltà al boss: «Se dovessi rischiare 30 anni per nasconderlo, rischierei». Su un collaboratore di giustizia: «Ci ammazzassi un figghiu». Claudio Fava sarà presto nel Comune trapanese
Torna in aula il consigliere pro-Messina Denaro Libera: «Si dimetta. Il prefetto ha le mani legate»
«Il ritorno nel consiglio comunale di Castelvetrano di Lillo Giambalvo, intercettato mentre garantiva fedeltà cieca al capomafia Matteo Messina Denaro e si augurava l’uccisione del figlio di un pentito, anche se ineccepibile sul piano formale, è uno sputo in faccia alla lotta alla mafia. E ai tanti cittadini di Castelvetrano che considerano Cosa Nostra una mala pianta da estirpare». Claudio Fava, vicepresidente della commissione nazionale antimafia, sarà nel Comune trapanese alla prossima seduta del consiglio comunale, per ribadire il suo fermo no alla riammissione di Giambalvo. Il consigliere, entrato nell’assemblea cittadina a luglio del 2014 tra le fila di Articolo 4, si era dimesso quattro mesi dopo, sospeso dal Prefetto perché coinvolto nell’operazione Eden 2, che aveva smantellato una rete di fiancheggiatori del boss latitante. Giambalvo è stato accusato di concorso esterno in associazione mafiosa, e assolto lo scorso dicembre con rito abbreviato per non aver commesso il fatto.
Restano le intercettazioni registrate dalle forze dell’ordine: «Se io dovessi rischiare 30 anni di galera per nasconderlo, rischierei – diceva riferendosi a Matteo Messina Denaro, come riporta il quotidiano online Tp24 -. La verità ti dico. Ci fossero gli sbirri qua? E dovessi rischiare a mettermelo in macchina e farlo scappare, io rischierei. Perché io ci tengo a queste cose». E poi ancora parlava di presunti incontri con il capo di Cosa Nostra: «Lui nel mentre era andato da mio zio Enzo, io non lo avevo riconosciuto a primo acchito, era invecchiato… Abbiamo fatto mezz’ora di pianto tutti e due. “Lillo come sei cresciuto?” e io mezz’ora di pianto». In un’intercettazione ricostruisce anche un incontro con il padre della primula rossa, Francesco Messina Denaro, morto da latitante nel 1998. «Minchia c’era un profumo di caffè. “Entra, Lillo prenditi il caffè”, “oh zu Cicciu assa benerica“, minchia ci siamo abbracciati e baciati, io ogni volta che lo vedevo mi mettevo a piangere perché… mi smuvia». Ma non è solo per queste parole che è finito imputato per concorso esterno alla mafia. «Questi fatti – spiega Salvatore Inguì, referente provinciale di Libera – risalirebbero a quando Giambalvo era ragazzino e di fatto non costituirebbero reati». Ma il consigliere comunale si sarebbe attribuito anche la partecipazione a un pestaggio e, in un’altra intercettazione, secondo gli inquirenti, commentava la collaborazione di Lorenzo Cimarosa, cugino acquisito di Matteo Messina Denaro: «Si fussi iè Matteo appena iddu… accussì latitante iè ci ammazzassi un figghiu…e vediamo se continua a parlare… perché come si fa? Minchia chiuddu di dintra! Ehh iddu docu… tutti possono parlare tranne lui! Se lo devono bloccare s’hanna smuovere».
«In sede di processo – spiega Inguì – ha smentito queste dichiarazioni e non sono stati trovati riscontri».
Il 25 gennaio, durante la seduta del consiglio che ha sancito il ritorno in aula di Giambalvo, lo stesso consigliere ha preso la parola ribadendo la sua «assoluta estraneità ai fatti contestati». «Tutta l’accusa – ha affermato – è stata fondata su intercettazioni che non corrispondevano alla realtà e a chiacchiere equivocate in sede di trascrizione. I media sono contro di me – ha aggiunto – e se non mi sono dimesso è perché ho sempre creduto nella giustizia». Nella stessa sede ha risposto il sindaco, Felice Errante (Ncd): «Le sentenze non vanno interpretate, ma rispettate e come sindaco devo applicare quanto ordinato dal prefetto. Altra cosa – ha aggiunto – è la valutazione politica sulle intercettazioni, incompatibili con le azioni di moralizzazione che porta avanti questa giunta. Non è tollerato nessun romanticismo rispetto al fenomeno mafioso. Se io – ha concluso – avessi il solo sospetto o la sensazione che il comune di Castelvetrano fosse condizionato dalla mafia, non esiterei un attimo a rassegnare le dimissioni». Sul consigliere pendeva una sospensione decisa nel dicembre del 2014 dall’allora prefetto Leopoldo Falco, che è decaduta automaticamente dopo l’assoluzione in abbreviato. «Ho chiesto al nuovo prefetto se ci fosse una normativa che consentisse la rimozione d’autorità – spiega Iguì – ma ha le mani legate».
Ecco perché Libera Trapani chiede che sia lo stesso Giambalvo a fare un passo indietro. «Riteniamo che un rappresentante delle istituzioni che inneggia alla figura di Matteo Messina Denaro non può sedere sugli scranni di un consiglio comunale. Il problema non verte sulla responsabilità penale, ma sulla opportunità dello stesso di rappresentare le istituzioni. Qual è il senso dello Stato, della legalità, della giustizia che il consigliere Giambalvo rappresenta?». Claudio Fava va oltre. «Non chiediamo al consigliere Giambalvo un atto di decenza – afferma il vicepresidente della commissione Antimafia -, chi sta orgogliosamente come lui, dalla parte di Messina Denaro ha perduto ormai ogni sentimento di decenza. Lo chiediamo agli altri consiglieri comunali: si dimettano loro, facciano capire che non esistono margini di convivenza civile o istituzionale con chi si augura impunemente la morte per i collaboratori di giustizia e lunga vita per i capi di Cosa nostra. Lo diciamo qui e ora, assieme al presidio locale di Libera, che ha fatto sentire coraggiosamente la propria voce. E lo verremo a ripetere a Castelvetrano – conclude Fava – alla prossima convocazione del consiglio comunale».
Il caso Giambalvo, però non è isolato. «A Castelvetrano ci sono molte persone oneste – conclude Inguì -, ma è innegabile che ci siano rapporti tra politica e mafia. Non dimentichiamo che è in corso un processo in appello per concorso esterno alla mafia al senatore Antonino D’Alì che è stato anche sottosegretario agli Interni, un fatto che ha una valenza non indifferente».