Vendute dalle famiglie per poche centinaia di euro e ignare del loro futuro, che le avrebbe portate a prostituirsi a Palermo. Sono in 15 a essersi ribellate e aver fondato un'associazione per dare un lavoro a chi vuole cambiare vita. Un progetto sposato da suor Anna Alonzo: «Abbiamo bisogno dell'aiuto di tutti»
Le donne di Benin City insieme contro la tratta Dalla strada al cucito nel centro di suor Anna
Ribellarsi alla schiavitù della tratta costruendo un percorso che le renda economicamente autonome e libere. È l’obiettivo di 15 donne nigeriane che, sfidando i propri aguzzini, hanno trovato la forza per liberarsi dal giogo della violenza. Abbandonata la strada, hanno fondato un’associazione di volontariato, le Donne di Benin City Palermo che al momento conta 15 socie. Ma devono tutto a Vero, una ragazza nigeriana che, dopo essere sfuggita alla strada, decisa a cambiare vita, si è sposata con un siciliano e ora vuole realizzare un sogno: creare un lavoro per sé e per le altre ragazze che desiderano fuggire dal calvario dello sfruttamento della prostituzione.
Tutte, infatti, condividono lo stesso tremendo passato: dalla città di Benin City, capitale dello Stato di Edo nella Nigeria meridionale, sono state vendute dalla famiglie per poche centinaia di euro, ignare del loro futuro. Ribellarsi, tuttavia, è solo il primo passo. Molte di loro, infatti, sono disoccupate con figli nati proprio a Palermo. «Senza un lavoro e un futuro come possono averlo i nostri figli? – sbotta Vero -. Alcune di noi chiedono l’elemosina per strada, ma vogliamo essere autonome». Molte delle donne prima obbligate a prostituirsi ora fanno un po’ di tutto: realizzano lavori di sartoria con materiali di riuso ma anche catering, cucina etnica nigeriana e africana, danze e canti tradizionali e acconciature tipiche.
Ma le Donne di Benin City continuano ad avere bisogno di sostegno. La prima a credere in loro è stata Anna Alonzo, suora missionaria che da anni si occupa a Palermo di minori, senzatetto e donne sottratte alla tratta e che ha fondato nel rione Guadagna il centro Arcobaleno 3P. Più volte bersaglio di intimidazioni per il suo impegno – recentemente è stata anche picchiata e minacciata con un coltello – suor Anna ha sposato da subito il progetto, accogliendo nella struttura l’associazione. «Per ora devono imparare un mestiere, donarsi un futuro e fare informazione, per mostrare a chi ancora è in strada che esiste una via d’uscita», spiega. Tra i primi ad aiutare concretamente è stata anche Confartigianato che ha concesso gratuitamente un gazebo dal 6 all’8 gennaio a piazza Verdi per permettere all’associazione di farsi conoscere.
«Chi viene comprata a Benin City viene trattata alla stregua di una cosa – prosegue suor Anna – La Favorita è piena di minorenni che, senza alcuna tutela, vivono in prigione. Ma nessuno fa nulla». Le donne nigeriane prive di documenti di riconoscimento, infatti, sono spesso identificate ed espulse. Quando invece dovrebbero essere trattate come donne vittime del traffico di esseri umani secondo la legge sull’immigrazione. «Anche per questo motivo il gruppo nato a Palermo intende richiamare l’attenzione della politica». Anche perché ribellarsi equivale a morire e chi riesce non può contare sull’appoggio della famiglia, che spesso è al corrente del futuro a cui condanna le proprie figlie. «Quando torno nel mio Paese – racconta Vero – la gente mi domanda se ho paura, ma perché dovrei averne? Se mi lasciassi frenare dal timore di qualche vendetta, chi fermerebbe questo traffico? Non voglio – conclude – che nessun’altra provi ciò che ho subito sulla mia pelle».
Suor Anna ha promesso di trasformare una parte del centro in un laboratorio di cucito professionale e sempre Confartigianato ha assicurato microcrediti agevolati per l’acquisto di macchine. Ma non basta. Servono anche i fondi per l’acquisto dei materiali. La fondatrice del centro Arcobaleno, ad ogni modo, è fiduciosa. «Lavoro per strada con le prostitute e i senza fissa dimora e il mio numero ce l’hanno tutti – dice con tono di scusa, silenziando il telefono che squilla in continuazione – perché dà sicurezza alle persone che sono completamente disperate. Molti mi prendono per pazza ma io lavoro con le persone, quelle più povere. Sono scelte di vita – conclude – ed è l’unico modo per farlo veramente: del resto non mi interessa».