L'ex procuratore di Catania e quello attuale di Agrigento criticano il reato che il governo aveva detto di voler eliminare e che invece mantiene, «perché c'è una percezione di insicurezza». Di Natale: «Più facile approvarlo senza l'emergenza terrorismo, ne avrebbe guadagnato l'efficienza di tante procure»
Migranti, magistrati contro reato di clandestinità Salvi: «Inutile, opinione pubblica va governata»
«Il reato di clandestinità non aiuta, anzi ha un effetto negativo sulle nostre indagini». Parola dei due procuratori che negli ultimi anni sono stati più esposti sul fronte degli arrivi dei migranti in Sicilia. A parlare, a meno 24 ore di distanza l’uno dall’altro, sono Giovanni Salvi, ex numero uno della procura di Catania e adesso procuratore generale alla Corte d’Appello di Roma, e Renato Di Natale, alla guida della procura di Agrigento. Interventi che giungono mentre il governo non riesce a decidere sulla depenalizzazione del reato. Proposta presa in considerazione nei giorni scorsi, ma subito bloccata. Il presidente del consiglio, Matteo Renzi, ha annunciato ieri che l’argomento non farà parte del prossimo consiglio dei ministri, perché «c’è una percezione di insicurezza, per cui questo percorso di cambiamento delle regole lo faremo tutti insieme senza fretta».
«La mia risposta è netta e chiara – ha spiegato oggi Salvi a Radio Radicale – il reato di clandestinità non ci aiuta, non serve e non ha una forza deterrente. Sul piano giudiziario, come spesso è accaduto quando è male interpretato, ha un effetto negativo sulle nostre indagini.
Personalmente come magistrato sono contento di non dover rendere conto all’opinione pubblica. Le persone salvate in alto mare e in situazione di pericolo, non possono essere ritenute responsabili, nemmeno in ipotesi, di questo reato». Il magistrato pugliese ricorda, quindi, le novità introdotte a Catania. «Disposi una circolare per i pm che dovevano sentire il migrante, quando non incorre in reati di altra natura, come testimone e non come indagato di reato collegato. Quella circolare innovativa, disposta dopo il drammatico naufragio di centinaia di migranti in acque libiche dell’aprile scorso, ebbe pure la definitiva conferma giurisprudenziale della Corte suprema di Cassazione che ci diede ragione, consentendo di salvare le testimonianze dei migranti come fonte di prova contro gli scafisti evitando – peraltro – che da indagati si potessero avvalere della facoltà di non rispondere in sede processuale. Le dichiarazioni dei migranti come testimoni e non come indagati, hanno una forza maggiore in sede processuale come fonte di prova».
Dello stesso avviso, il procuratore di Agrigento. «Il reato di clandestinità – ha detto al Fatto quotidiano – ha ostacolato le indagini perché la diffidenza di chi ha patito un viaggio in mare in condizioni difficili è aumentata di fronte ad un interrogatorio alla presenza di un difensore, nel quale era chiamato ad identificare gli scafisti». E sottolinea l’insensatezza della procedura: «Per ogni immigrato si deve aprire un fascicolo, iscrivere il nome, spesso falso, nel registro degli indagati, e salvo i casi di rifugiati, arrivare ad una condanna per cinquemila euro, che chi arriva senza neanche le scarpe, con tutto il rispetto, non può pagare».
Di fronte alla momentanea marcia indietro del governo per «motivi di opportunità politica», Salvi commenta: «Sono consapevole che chi ha la responsabilità di governo, abbia davanti una seria questione, tuttavia, la pressione dell’opinione pubblica va in qualche modo governata». Netto anche Di Natale: «Quel reato – ha affermato – si poteva abolire un anno prima, quando è arrivata la delega dal Parlamento: sarebbe stato più facile approvarlo senza l’emergenza terrorismo e ne avrebbe guadagnato l’efficienza di tante procure in prima linea nel fronteggiare l’immigrazione e il traffico di esseri umani».