Un approccio multidisciplinare per un progetto che intende far percepire al paziente una protesi esterna come un arto proprio. È questo l'obiettivo del progetto Reshape di Giovanni Di Pino, originario di Giarre, ma attivo a Roma, che si è aggiudicato i contributi dall'Unione europea
Ricercatore etneo riceve un milione di fondi Ue Di Pino: «Aiuterò il cervello a sentire le protesi»
«Aiutare il cervello a percepire una protesi come un membro perfettamente integrato nel corpo». È questo l’obiettivo del progetto di ricerca di Giovanni Di Pino, lo scienziato originario di Giarre che ha vinto il bando dell’Unione europea intitolato Starting grant. Ovvero un programma che finanzia con un milione e 500mila euro le eccellenze del vecchio continente, destinando la cifra «direttamente allo studioso, così da permettergli di lavorare dovunque voglia», precisa Di Pino. Che inizia la sua formazione con l’immatricolazione alla facoltà di Medicina e Chirurgia alla Libera università campus biomedico di Roma, nel 1997. Un primo passo al quale aggiunge un dottorato di ricerca in Bio-ingegneria e una specializzazione in Neurologia. «È grazie all’approccio multidisciplinare, sviluppato e arricchito nel corso di tanti anni, che sono approdato all’idea di RESHAPE», sottolinea. Un acronimo, quest’ultimo, che sta per il titolo completo del progetto vincente del finanziamento europeo REstoring the Self with embodiable HAnd ProsthEs.
«Ho lavorato tanti anni sul tema delle protesi degli arti superiori e – racconta – mi sono sempre reso conto di quanto fosse difficile fare capire al cervello dell’amputato che quell’oggetto esterno in realtà è proprio suo». Un nodo, quello della comunicazione neurologica, che «poco dipende dalla tipologia della protesi installata». Motivo per cui l’obiettivo del nuovo lavoro di Di Pino, anche grazie al finanziamento ottenuto, è quello di «realizzare arti artificiali perfettamente integrabili nella mappa nervosa del soggetto», spiega il ricercatore. Un risultato che non dipende «da quanto il robot sia performante da un punto di vista meccanico, ma da quanto faccia comprendere al paziente che non ha un arto diverso da quello che muovono le altre persone», spiega. Diverse le vie scientifiche da percorrere per raggiungere il traguardo, ma «ho cinque anni per farcela, a partire dall’inizio del 2016». Un periodo, quello fino alla scadenza, che sarà interamente coperto dai fondi del finanziamento europeo.
Al contrario delle difficoltà per i ricercatori di ottenere contributi finanziariamente considerevoli dall’Italia. Nonostante proprio nel Bel Paese si svolgano nei fatti le loro attività scientifiche. «In Italia le valutazioni dei progetti presentati spesso sono affidate anche a personale esterno all’argomento affrontato», spiega Di Pino. Che per molti anni continua a studiare le protesi grazie a contratti a progetto. E non disdegna anche un periodo di studio e lavoro all’estero. Come quando va a vivere per due anni a Pittsburgh, negli Stati Uniti, «dove le possibilità di fare ricerca sono tante». Ma «all’epoca ho preferito tornare in Italia, nonostante le tante contraddizioni». Dopo il liceo, Di Pino ha deciso di non studiare all’università di Catania – vicina alla sua città d’origine -, ma oggi la voglia di rimanere a Roma è forte. «Non solo perché qui ho iniziato il percorso che mi ha portato a vincere il bando per le giovani eccellenze – conclude -, ma anche perché a un certo punto a determinare le decisioni di una persona sono gli affetti».