Riccio è il grande accusatore del generale Mori e del colonnello Obinu, imputati anche nel processo sulla Trattativa stato-mafia. Sulla richiesta di archiviazione presentata un mese fa, il gip non ha ancora deciso e per questo oggi è stato sentito nel processo, come indagato in procedimento connesso
Trattativa, ascoltato l’ex colonnello Michele Riccio Chiesta archiviazione dell’indagine per falsa testimonianza
Era il 17 luglio del 2013. Il generale dei Ros Mario Mori e il colonnello Mauro Obinu, accusati di favoreggiamento aggravato alla mafia per la mancata cattura di Provenzano a Mezzojuso 1995, vennero assolti perchè il fatto non costituisce reato (art. 378 e 539 ccp) e il giudice Mario Fontana ordinò inoltre la trasmissione delle deposizioni dell’ex colonnello dei carabinieri Michele Riccio e Massimo Ciancimino all’ufficio del Procuratore della Repubblica per “eventuali responsabilità” (art 207 cpp. – Testimoni sospettati di falsità o reticenza. Testimoni renitenti, ndr) . Riccio è il grande accusatore del generale Mori e del colonnello Obinu, imputati nel processo sulla Trattativa stato-mafia e durante l’udienza di questa mattina è emerso che la Procura di Palermo ha chiesto l’archiviazione dell’indagine per falsa testimonianza a suo carico. Richiesta presentata un mese fa, sulla quale il gip non ha ancora deciso e per questo oggi Riccio è stato sentito nel processo come indagato in procedimento connesso.
Ascoltato al bunker dell’Ucciardone, l’ex colonnello, prima in forza alla DIA e poi nel ’95 transitato al Ros, ha raccontato dei suoi rapporti con il confidente Luigi Ilardo, reggente della famiglia di Caltanissetta, indicandolo come colui che per primo aveva dato indicazioni sull’allora boss latitante Bernardo Provenzano, affermando che fosse in vita. «Voleva darmi indicazioni sulle evoluzioni strategiche di Cosa nostra – ha detto in udienza -. In quel momento non si prospetta una vera e propria collaborazione con l’autorità giudiziaria. Dopo le stragi mafiose del ’92 e del ’93, Ilardo, scrisse una lettera all’ex allora capo della Dia Gianni De Gennaro in cui si diceva disponibile ad avviare una collaborazione. Era diceva disponibile a dare delle indicazioni sulle dinamiche eversive e stragiste di Cosa nostra». (Di fatto una collaborazione “ufficiale” non iniziò mai, perchè fu ucciso il 10 maggio del 1996, solo qualche giorno prima del suo interrogatorio davanti all’ autorità giudiziaria, ndr).
Michele Riccio ha poi spiegato ai pm come Cosa nostra fosse “spaccata” sulla strategia stragista . «Da un lato c’era l’ala che faceva capo a Riina e Bagarella, che era favorevole, dall’altra quella che faceva riferimento a Bernardo Provenzano e Pietro Aglieri, che era contraria». Provenzano infatti, secondo quanto ha dichiarato Riccio questa mattina, nel ’94 nel corso di una riunione a Caltanissetta, aveva comunicato ai capimafia locali la sua strategia, ovvero «tornare a un vertice unitario di Cosa nostra, far cessare la violenza e appoggiare Forza Italia con cui si era stabilito un contatto tramite un personaggio insospettabile che era nell’entourage di Berlusconi. In cambio cosa nostra avrebbe avuto dei vantaggi anche normativi».
Tornando sulla mancata cattura di Provenzano, l’ex colonnello ha poi detto ai pm che grazie alle confidenze di Ilardo, sarebbe stato a un passo dall’arresto. Il 28 ottobre del ’95 infatti il “quasi” collaboratore di giustizia annunciò che di lì a pochi giorni avrebbe incontrato il capomafia di Corleone e così fu, il 31 ottobre. Riccio avvisò il generale Mario Mori che dice Riccio «Stranamente non ebbe alcuna reazione». «Il Ros pose ostacoli pretestuosi per scongiurare la cattura» oltre a indurlo a non fare relazioni di servizio sulle confidenze ricevute da Ilardo. Un racconto lungo e dettagliato quello di Riccio: «Mori mi disse che io non dovevo fare nulla e che l’attività operativa sarebbe stata affidata al capitano Damiano, della sezione anticrimine di Caltanissetta. Giunto a Catania incontrai Damiano ma mi disse che non sapeva nulla». L’incontro del 31 ottobre si svolse a Mezzojuso in un ovile e di fronte c’era – a detta di Riccio – pure una casa dove risiedeva Provenzano.
In seguito ci sarebbero stati altri incontri tra Ilardo e Provenzano nel casolare di Mezzojuso ma il Ros non riusciva ad individuarlo con certezza: «Nonostante avessi fornito luoghi, targhe, nomi e cognomi. Mancavano solo le coordinate geografiche – ha detto Riccio – ma io feci delle relazioni di servizio in cui avevo messo tutto per iscritto. Quelle relazioni al Ros non esistevano più e io ho ritrovato copia delle relazioni a casa mia».
A sapere del segretissimo ruolo di informatore di Ilardo, erano l’ex colonnello Riccio, alcuni magistrati di Palermo e Caltanissetta e i Ros. Erano tutti presenti il 2 maggio del 1996 a Roma, giorno in cui Ilardo doveva “formalizzare” il suo ingresso tra i collaboratori di giustizia, previsto ufficialmente per il 14 maggio. Fu ucciso quattro giorni prima.