I temporali hanno provocato danneggiamenti alle piante che si ripercuoteranno per i prossimi due anni. «Sono queste le nostre difficoltà: quando viene a mancare la raccolta degli agrumi. Non è la vicinanza del Cara di Mineo, ma le famiglie in ginocchio», spiega Salvatore Motta, imprenditore della zona
Maltempo, danni agli agrumeti del Calatino Agricoltore: «Qui il problema non sono i migranti»
«Ancora è presto per fare una valutazione ufficiale, ma la situazione è drammatica». La serie di temporali che ieri ha colpito la Sicilia orientale ha provocato danni ancora da calcolare alle coltivazioni della piana di Catania e del Calatino. La zona è stata messa a dura prova dai violenti scrosci d’acqua culminati in una grandinata che ha fatto cadere molte arance ancora non mature e spezzato i rami degli alberi. «Il problema non sono i migranti, ma le famiglie in ginocchio quando viene a mancare la raccolta degli agrumi». A parlare è Salvatore Motta, uno degli imprenditori agricoli della zona con circa 50 lavoratori tra stagionali e interni. In un periodo in cui è alta l’attenzione sul vicino centro per richiedenti asilo, Motta commenta: «Da imprenditore, i problemi legati alla presenza del Cara riguardano lo sfruttamento». E non solo. «Il Cara è la più grossa fabbrica del Calatino: sono 400 le persone impiegate che non saprebbero dove andare. Però non è la prima e unica emergenza del territorio».
Ci sono appunto le coltivazioni distrutte, come oggi. «Abbiamo segnalazioni di danni dalla piana di Mineo fino allo scorrimento, vicino al Cara, e anche nei pressi di Caltagirone – racconta Motta – I proprietari che hanno la fortuna di avere l’assicurazione, hanno già attivato le procedure». Le conseguenze del maltempo di ieri si sentiranno «per almeno un paio d’anni: l’albero spezzato si indurisce – spiega l’imprenditore – Prima di rifare i nuovi rami, ci vogliono due anni e trattamenti adeguati». Una procedura descritta come «mettere della penicillina su una ferita. E quindi ci sono delle spese e del lavoro da affrontare per bloccare il danno».
La grandinata viene in un anno in cui è prevista una grossa produzione di agrumi. Un fattore non positivo, dato che «ci sarà tanto prodotto sulle piante e quindi un’offerta maggiore rispetto alla domanda. Ci saranno momenti di crisi», sospira Motta. «Sarebbe meglio che le istituzioni attivino adesso un tavolo – continua – e non quando saremo in emergenza». I frutti rimasti sulle piante danneggiate a causa della pioggia «potrebbero essere pronti per la trasformazione, ma ci vorrebbe un prezzo adeguato che permetta agli agricoltori di rientrare nelle spese di raccolta».
La zona tra Mineo e Palagonia è stata al centro dell’attenzione mediatica e politica nelle ultime settimane, dopo l’omicidio di Vincenzo Solano e Mercedes Ibanez per il quale l’unico sospettato è un ospite del Cara, Mamadou Kamara. Un delitto che ha scosso l’opinione pubblica e acceso i riflettori sul centro di accoglienza più grande d’Europa, con numerosi esponenti politici che ne hanno chiesto la chiusura a cominciare dal leader della Lega Matteo Salvini. «Per noi di Palagonia è difficile parlare di quello che è successo ai coniugi Solano. È un crimine non giustificabile – premette – ma la sporadicità di eventi del genere non può definire il contesto quotidiano nel quale ci troviamo». Se non fosse accaduto l’omicidio, «nessuno parlerebbe del Cara», commenta amaramente.
Almeno fuori da quelle zone, dove invece la presenza degli stranieri suscita grande attenzione. Molti colleghi «per risparmiare fanno lavorare i migranti per 15-20 euro al giorno – commenta Motta – Questo mette in difficoltà chi assume regolarmente e spende mediamente, tra contributi e paga, 80 euro lordi al giorno». E sottolinea: «Chi approfitta di queste persone, magari scende in piazza a sbraitare contro di loro».
«I veri problemi non sono quelli di cui parla il segretario della Lega Matteo Salvini – continua -, sono questi. Non significa che l’accoglienza debba essere fatta senza tutele, senza tenere sotto controllo il territorio», tiene a precisare l’imprenditore. Le difficoltà «sono soprattutto per chi ha i terreni più vicini al Cara – spiega – Magari ti trovi gruppetti di cinque-sei persone, ti chiedono di lavorare oppure mangiano le arance strappandole dagli alberi. Ti senti disarmato. Ma da qui ad arrivare alla discriminazione, con le scene che abbiamo visto negli scorsi giorni ne corre». «Io ho manifestato per non farlo aprire, nel 2011 – conclude Motta, ex dirigente del Pd di Palagonia – era logico che sarebbe diventato un ghetto e che dovrebbe essere chiuso».