Se una notte d’autunno un viaggiatore

Giusy fa fatica a portare il trolley. Fortuna che c’è suo padre in stazione. È lui che l’aiuta a salire nella carrozza 06. Giunta nel proprio scompartimento vede che tre dei sei posti sono occupati da stranieri, probabilmente marocchini o tunisini. La ragazza, dando le spalle a quelli che saranno i suoi compagni di viaggio, guarda suo padre. In quegli occhi preoccupazione. Lancia una tenera richiesta d’aiuto. Un grido d’allarme col silenziatore. Suo padre cerca di rassicurarla con un tiepido sorriso, ma dentro di lei c’è un’ansia tremenda. Maledetto aereo al completo, ci fosse almeno un poliziotto in ogni treno notturno! Per sondare la situazione l’uomo, barba incolta e cappello ben conficcato in testa, entra nell’angusto spazio avvertendo un’aria pesante. Chiede la destinazione dei tre, ma non capiscono una sola parola. Ci si aiuta a gesti e mostrando i biglietti. Ancora timidi sorrisi, stavolta da parte dei viaggiatori magrebini.

Il treno 1938 Bellini parte puntuale dalla stazione centrale di Catania. Qualcuno è contento che non si tratti dell’834 Freccia del Sud, soprannominato “Feccia del Sud”, per le scarse quanto leggendarie condizioni igieniche. I viaggiatori già scommettono sul ritardo che porterà all’arrivo. Sono le 22.05 quando il fischio del capotreno conferma la partenza dell’Espresso poco prima annunciata dalla metallica voce preregistrata degli speaker in stazione.

Le carrozze con cuccette e altre sistemazioni letto partono semi-vuote. La maggior parte dei passeggeri stanotte è in seconda classe. Scomodi e semplici posti a sedere. Proprio quando al viaggio in treno erano stati diagnosticati pochi anni di vita a seguito del calo delle tariffe aeree, ecco che le carrozze, che già col loro nome evocano lunghe traversate ottocentesche, continuano magicamente a riempirsi, forse ancora più di prima, impiegando grosso modo lo stesso tempo per giungere a destinazione. A scegliere questo mezzo di trasporto sono ancora in molti. Gli aereofobi proprio non ce la fanno a salire su un mezzo che per una strana formula matematico-fisica riesce a vincere la forza di gravità. Folta la schiera degli squattrinati che scelgono il posto a sedere piuttosto che una cuccetta: Giusy è tra i pendolari d’amore. Il suo ragazzo, prossimo alla laurea, vive poco al di fuori del raccordo anulare di Roma con la propria famiglia. La ragazza fissa il finestrino mentre, soffocate dall’oscurità, le ombre dei paesi costieri del Messinese scorrono velocemente. A Giusy, che sfoglia mentalmente la sua storia d’amore, scappa un timido sorriso. Torna in sé accorgendosi di non essere sola nello scompartimento. Un uomo molto distinto, salito sul treno a Giardini Naxos, sta dinanzi a lei e, alzando gli occhi dalla Bibbia che ha in mano, ricambia il sorriso; ma dallo sguardo della ragazza si accorge subito dell’equivoco.

Ancor prima di raggiungere lo Stretto lo scompartimento è al completo. Con Giusy, i tre extracomunitari e l’uomo di Chiesa, c’è anche un ragazzo di Acireale che però non resta mai seduto. Marco fuma nevroticamente una sigaretta dopo l’altra con la testa fuori dal finestrino del corridoio. Superate le prime prove psico-attitudinali e di cultura generale, spera di passare le prove fisiche che si terranno nel casermone di Tor di Quinto a Roma.

Per gli extra-comunitari viaggiare in treno è una scelta obbligata, vuoi per il prezzo (la maggior parte delle volte più basso di quello di un aereo), vuoi perché viaggiare in treno significa (per chi teme la legge) spostarsi senza controlli e senza il rischio di essere rintracciabili: il biglietto non è nominativo e il controllore si accontenta di visionarlo senza indagare oltre sul possessore.

Di comune accordo si decide di spegnere le luci dello scompartimento. I tre amici di colore appoggiano la decisione annuendo. Nel buio sei occhi spiccano più degli altri. Giusy si impressiona e, stringendo la borsetta tra le mani e il giaccone, cerca di addormentarsi. Marco, finite le sigarette, ha preso posto e sonno quasi nello stesso istante, non prima di aver controllato che i lucchetti del borsone fossero ben chiusi e aver dato un’occhiata fulminante a quei tre che non lo convincono tanto. Il ragazzo tiene la gamba destra adiacente alla porta dello scompartimento per controllare che nessuno entri o esca da quel posto.

Verso le undici e mezza si arriva a Messina. Solo dopo la mezzanotte il treno riparte per il porto dove verrà spezzettato in tre o quattro parti per essere inghiottito dalla pancia del traghetto. Durante la traversata nessuno dei sei sale sul ponte. Preferiscono restare con i bagagli. Una vola riassemblato, il treno riparte. Adesso si può prendere finalmente sonno, quello profondo. La prossima stazione è Napoli, soste tecniche escluse.

Nel cuore della notte la porta dello scompartimento si apre di colpo: i controllori non badano mai all’ora. Il sonno viene ripreso a fatica da tutti. La porta dello scompartimento si apre nuovamente, stavolta lentamente, stavolta non è il controllore. Si affaccia un ragazzo di colore, due denti storti e capelli arruffati. Nel buio più totale viene sorpreso da Marco che lo spinge fuori con la stessa gamba che sorvegliava l’entrata e gli grida “Che cazzo vuoi ladro di merda? Tornatene al tuo paese prima che ti gonfio!” Accorre il capotreno che chiede spiegazioni. Il ragazzo maltrattato si chiama Cristian. Suo padre è nato in Senegal. Sua madre è romana de Roma. “Ma guarda te ’sto ’nfame! Stavo solo a cercà ’n posto!” Marco neanche si sogna di chiedere scusa. Per lui sono tutti della stessa pasta, tutti venuti a rubargli il lavoro.

A Napoli scendono molti nigeriani. Vanno probabilmente ad incontrare i loro fornitori di merce marcata contraffatta. La luce del giorno comincia a varcare la linea dell’orizzonte, portando un po’ di tranquillità nello scompartimento. Dopo la mezza zuffa in piena notte nessuno ha preso più sonno. I tre magrebini con la paura di subire aggressioni. I tre italiani con quella di essere derubati.


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