L'associazione Katanekonomie raccoglie il disagio di agenti di commercio, ditte private, ambulanti e funzionari pubblici e a breve procederà contro l'Autorità nazionale delle autostrade. «Aspettiamo la risposta da una multinazionale straniera». Al danno economico si aggiunge la paura: «I crolli non si annunciano e hanno già sequestrato il ponte Cinque Archi»
Ricorso contro l’Anas da parte di 50 imprenditori «Fatturato a meno 30% dopo chiusura dell’A19»
Imprenditori del mobile e dell’edilizia, rappresentanti di commercio, ambulanti delle fiere, ditte private di trasporti, funzionari pubblici. Figure diverse che negli ultimi due mesi hanno ridotto il loro fatturato del 30 per cento. Colpa della chiusura di un tratto dell’autostrada A19, dopo la frana che ad aprile ha colpito il viadotto Himera. Viaggiare tra Catania e Palermo è diventato impossibile, in termini di tempo e di costi, per chi deve fare il pendolare tra le due principali città della Sicilia. Ecco perché una cinquantina di imprenditori, riuniti dall’associazione Katanekonomie, presenteranno un ricorso contro l’Anas.
«È quasi pronto ma aspettiamo una risposta da una grossa multinazionale straniera, anch’essa fortemente danneggiata», spiega Carlo Cittadino, commercialista catanese che coordina l’iniziativa. «I nostri figli se ne stanno andando – continua – e i responsabili continuano a perdere tempo. Cerchiamo altri soggetti che vogliono unirsi a noi per il ricorso, la partecipazione è gratuita, come professionisti ci autotassiamo». Venerdì scorso la protezione civile nazionale ha dato il via libera al progetto presentato dal commissario straordinario Marco Guardabassi e che prevede due fasi: la realizzazione della bretella che dovrà riunire i caselli di Tremonzelli e Scillato, con la messa in sicurezza dell’area su cui insisterà l’opera, e la demolizione, pezzo per pezzo, del pilone colpito dalla frana. Se il primo progetto dovrebbe durare 80 giorni, a partire dall’inizio dei lavori stimato per il 10 agosto, per il secondo serviranno quattro mesi.
Ma c’è chi non si fida e da quell’autostrada che si sbriciola non vuole proprio passarci. Maurizio, catanese, da 30 anni fa l’agente di commercio e fornisce servizi e prodotti sanitari agli ospedali siciliani. «Ho molti clienti a Palermo e prima del crollo del viadotto viaggiavo anche tre volte alla settimana da una parte all’altra dell’Isola – racconta – adesso sono costretto a fare il giro dall’autostrada Catania-Messina e poi dalla Messina-Palermo, perché io da lì non ci passo più». Lì sta per l’A19 che, anche nel tratto aperto al traffico, non dà a Maurizio le necessarie garanzie. «Hanno sequestrato anche il ponte Cinque Archi perché il fiume ha scavato sotto il pilone, i crolli non sono annunciati, ormai è anche una questione psicologica». Essere agente di commercio significa coltivare, soprattutto di presenza, i rapporti coi clienti, incontrarli e conquistare la loro fiducia. «Tutte cose che da aprile non posso più fare, spesso dobbiamo essere a Palermo prima dell’apertura della sala operatoria, quindi alle 8 del mattino, impossibile».
Nella sua stessa situazione ci sono molti altri colleghi, visto che circa il 60 per cento delle ditte fornitrici degli ospedali siciliani si trova a Catania. «L’aumento dei treni per noi non ha risolto nulla – continua – perché dobbiamo trasportare strumenti anche ingombranti. E, a differenza dei camionisti, non abbiamo neanche diritto all’esenzione del pedaggio sulla A18 e la A20». Non solo piccoli imprenditori. A essere danneggiati economicamente sono anche i grandi gruppi, come Ikea, che ha pubblicamente ammesso di stare valutando l’apertura di un centro a Palermo, visto che il negozio di Catania ha perso il 30 per cento dei clienti.