Andorra dei Caribou era un disco adatto per l’estate appena volata via. Per cui, mettetevi l’animo in pace. Ascoltatelo comunque, se vi va, ma sappiate che non è affatto un disco autunnale. Ecco. Descriverlo è un lavoro piuttosto facile, soprattutto se chi legge ha familiarità con la psichedelia degli ultimi anni ’60, col surf-pop dei […]
Caribou: Andorra
Andorra dei Caribou era un disco adatto per l’estate appena volata via. Per cui, mettetevi l’animo in pace. Ascoltatelo comunque, se vi va, ma sappiate che non è affatto un disco autunnale. Ecco.
Descriverlo è un lavoro piuttosto facile, soprattutto se chi legge ha familiarità con la psichedelia degli ultimi anni ’60, col surf-pop dei Beach Boys, con un certo gusto per la sperimentazione di matrice shoegazer/elettronica. In realtà, una delle prime immagini che mi sia venuta in mente, è stata quella di un archeologo che scova questo relitto della psichedelia barrettiana in un archivio sperduto, lo consegna ad un’équipe contemporanea di artigiani del suono e di produttori; i quali vi lavorano su, aggiungendo strati su strati di beats, campionamenti, rumori, tappeti di synth, chitarre effettate, strumenti inconsueti. I richiami al passato, soprattutto (come accennavo) ai Pink Floyd di The Piper At The Gates Of Dawn, sono tanti e ravvisabili in alcune tracce in particolare. La prima traccia, Melody Day, e la terza, After Hours (non è una cover del celebre pezzo dei Velvet Underground), sono quanto di più pinkfloydiano si possa concepire nel 2007, soprattutto per quanto riguarda le melodie vocali, quell’uso delle chitarre mai invadente, ma ipnotico e suggestivo, e quella struttura di canzone che non si limita alla manfrina strofa-ponte-ritornello, ma riserva nuove, continue sorprese: variazioni nell’impasto sonoro, figure contrastanti ma ben incastrate l’una nell’altra, finali inconsueti, piccole genialità. Il tutto, dicevo, condito da un gusto prettamente contemporaneo per l’elettronica e per la ricerca di sonorità fresche. Ascoltare, per credere, la bellissima Irene: qua, una semplice melodia affidata ad un synth ultra-minimale, accompagnata da un beat elementare, viene sommersa da un rumore di TV che non trova il segnale (sì, insomma, avete capito: quando ci sono i punti bianchi e neri ad intermittenza). E, per chi ama le nuove sonorità elettroniche da dance floor (un po’ tra gli Air e i Daft Punk), c’è la lunga Niobe, costruita su un tappeto multiforme di beats e campionamenti e tintin-tuntun-fschhh di varia natura. Un disco adatto per l’estate, appunto. Perché? Per via di un’atmosfera generale rilassata, surfereccia, un po’ ubriaca. Per via di melodie semplici e ficcanti, degne di soppiantare quintali di beceri tormentoni estivi da Mtv. Ma noi lo ascoltiamo lo stesso, pure a Settembre. Perché se lo merita.