Iblis appello, i motivi della condanna a Cristaudo «Nella sua condotta c’è il patto mafia-politica»

Nella condotta dell’ex deputato regionale catanese del Pdl Giovanni Cristaudo «si è concretizzato il patto tra mafia e politica». Tramite un «mercimonio dell’attività istituzionale a disposizione dell’organizzazione mafiosa per un personale tornaconto». Sono questi i due capisaldi con cui la terza sezione della Corte d’appello di Catania motiva la condanna – il 10 settembre 2014 – a cinque anni per concorso esterno in associazione mafiosa nell’ambito del processo abbreviato scaturito dall’inchiesta Iblis. Parole che capovolgono il giudizio di primo grado, emesso a ridosso delle regionali del 2012, con cui il politico era stato assolto con formula dubitativa scegliendo immediatamente di ricandidarsi con la lista di Grande Sud a supporto di Gianfranco Miccichè

A inchiodare Cristaudo sono le intercettazioni telefoniche, la sua attività da parlamentare e le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia Carmelo Sortino, Paolo e Giuseppe Mirabile ed Eugenio Sturiale. Un quadro che, secondo i giudici, coinvolgerebbe a 360 gradi mafia, politica e imprenditoria. Per un affare – quello del centro commerciale Centro Sicilia in contrada Tenutella a Misterbianco – che, prima della sua effettiva realizzazione, veniva già bollato da Sortino come «la fortuna dei Santapaola». Nonostante il durissimo scontro interno alla famiglia mafiosa. Da un lato l’imprenditore Pietro Orlando, riferimento del boss Alfio Mirabile e della società Ira Costruzioni e dall’altro Giovanni D’Urso – coinvolto nell’inchiesta e, secondo il collaboratore Giuseppe Mirabille, affiliato al gruppo Amato – che avrebbe sponsorizzato l’imprenditore Rosario Ragusa (condannato in appello a se anni, ndr). Entrambi presunti riferimenti dell’ala capeggiata dallo storico boss Pippo Ercolano, deceduto nel luglio 2012.

La realizzazione del centro commerciale sarebbe stata la fortuna dei Santapaola

In mezzo sta la politica. Gli «interventi dei politici locali» si esauriscono il 2 marzo 2005 con il rilascio da parte del Comune di Misterbianco alla società Tenutella della concessione edilizia. Da questo momento in poi sarebbe entrato in gioco Cristaudo «con l’impegno di individuare acquirenti delle quote della società» per «una immediata conclusione dell’affare». Ma non da solo. Anche «altri politici – proseguono i giudici – avevano interessi per la buona riuscita» della vicenda. Accordi al tavolo di Cosa nostra che «prevedevano il pagamento di somme di denaro». Un passaggio chiave che emergerebbe da un colloquio intercettato nel carcere di Bicocca nel 2007, ma anche da altre conversazioni datate 2006. In una di queste, il duo Cristaudo-Ragusa concordava un incontro all’Hotel Baia Verde con un’altro onorevole. Al centro del vertice, ipotizzano i giudici, sempre l’affare Tenutella.

Il nodo centrale riguarda l’attività all’assemblea regionale di Cristaudo. In modo particolare un presunto intervento mirato del 30 ottobre 2007: l’approvazione della legge che allungava di quattro anni i termini di decadenza delle autorizzazioni commerciali per le aree integrate. Niente di grave, secondo i giudici, «se non vi fosse stata dietro la mafia con i suoi principali adepti». Tra questi, Giovanni D’Urso «costantemente informato da Cristaudo di quanto avveniva a Palermo». Proprio quel giorno, in una telefonata,l’imprenditore annunciava a Felice Naselli, presunto affiliato alla famiglia Santapaola: «Ce l’abbiamo fatta». «Si è inserita una cosa morta che l’hanno fatta resuscitare – commentava l’imprenditore catanese (non indagato ndr.) Concetto Bosco Lo Giudice in una intercettazione riportata in sentenza riferendosi al progetto –  forze occulte e non so chi sono», una cosa che «a Milano sanno tutti». A scrivere il disegno di legge per Cristaudo è l’avvocato Antonino Santagati,racconta lui stesso agli inquirenti. Condannato in appello per intestazione fittizia a un anno e quattro mesi, è «per sua stessa ammissione il prestanome di Rosario Ragusa».

Cristaudo inoltre per l’elezione nei suoi tre mandati all’Ars, dal 2001 al 2008, «era stato chiaramente appoggiato dai Santapaola-Ercolano», si legge nella sentenza. Ad accusarlo è il collaboratore di giustizia Eugenio Sturiale. «Di tale persona – spiega ai magistrati – ho sentito parlare da qualche affiliato del clan per procacciare dei voti nell’elezione in cui si era presentato come candidato». Identico discorso, per l’accusa, anche nel 2006. In questo caso l’appoggio emergerebbe da alcuni sms acquisiti agli atti nel processo Cherubino. Nei messaggi Antonino D’Emanuele – all’epoca incensurato, figlio di Natale, uomo di spicco dei Santapaola – invita i propri amici a votare Cristaudo. In una telefonata, il deputato uscente viene definito «un carissimo amico». E ancora, quelli che per i giudici sono «i termini dello scambio»: «Siccome si è messo a disposizione, gli sto praticamente ricambiando la sua delicatezza che ha avuto sempre con me».


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