In 108 giorni di vita la neonata ha subito tanti interventi chirurgici, tutti al policlinico di Messina dove è stata trasferita 25 giorni dopo la nascita. Ma - denunciano i genitori - dopo il quarto, i punti saltano e le pieghe dell'intestino fuoriescono dall'addome. E le medicazioni erano solo garze tenute ferme da un pannolino
Alice, morta a Messina a soli tre mesi Cinque operazioni e una ferita pulita male
Nata dopo 24 settimane di gestazione, rispetto alle 40 che di norma occorrono, ha affrontato ben cinque interventi chirurgici ed è rimasta in coma per poco più di una settimana prima di spegnersi, ad appena 108 giorni. È la storia di Alice, nata prematura – solo 570 grammi di peso – lo scorso 4 luglio, all’ospedale Annunziata di Cosenza, e morta il 20 ottobre scorso al Policlinico di Messina, dopo una serie di disavventure capaci di bastare per una vita ben più lunga e appagante. I genitori hanno deciso solo stamattina di sporgere querela in procura, a quattro mesi di distanza dal lutto, affidandosi all’avvocato Antonio Roberti al fine di accertare le eventuali responsabilità dei medici del Gaetano Martino. Che si tratti o meno di un caso di malasanità lo potranno chiarire solo i magistrati. Che la brevissima esistenza della piccola sia stata un vero e proprio calvario lo certifica la sua cartella clinica.
Dopo il parto, la bambina rimane in terapia intensiva, all’Annunziata, fino al 29 luglio. Successivamente, viene trasferita al Policlinico di Messina, per colpa della non spontanea chiusura del dotto arterioso. Un problema clinico tale da richiedere un intervento chirurgico che non è possibile eseguire nel nosocomio calabrese. Perché lì un reparto di cardiochirugia pediatrica non c’è. La «legatura del foro di Botallo», da parte dell’équipe di cardiochirurgia pediatrica di Taormina, viene eseguita il 30 luglio nel reparto di Terapia intensiva del capoluogo peloritano. La neonata sembra riprendersi perfettamente e supera le successive 48 ore. Già al suo arrivo dall’altra parte dello Stretto, tuttavia, sembra presenti un addome teso, che induce i medici a sospettare la presenza di una «enterocolite necrotizzante». Così, il 2 agosto subisce una «laparotomia esplorativa» la quale, pur permettendo di escludere la necrosi e di accertare che l’intestino è sano, rivela che era necessario rimuovere l’appendice. Dopo l’intervento, Alice viene suturata ma, secondo quanto sostengono il padre e la madre, non le verrebbe praticato nessun drenaggio.
Qualche giorno dopo, l’addome torna gonfio e dalla ferita fuoriesce del siero. Sarebbe un neonatologo a notare che le pieghe dell’intestino fuoriescono dall’addome della bimba, a causa del cedimento dei punti. Si arriva così alla terza operazione «per liberare alcune anse da aderenze formatesi dopo il primo intervento», come si legge nella denuncia. Il 18 agosto, tuttavia, per risolvere il problema dell’addome gonfio, viene praticata una «ileostomia». Su indicazione del chirurgo, stando alla querela, le medicazioni si riducono solo a garze tenute ferme da un pannolino. Pochi giorni dopo, ad Alice viene riscontrata un’infezione da «staphilococcus epidermidis». Parallelamente, la ferita peggiora progressivamente, fuoriescono i succhi gastrici che, a causa dell’acidità, ustionano la pelle di Alice, provocandole sofferenza atroci. Le condizioni del suo addome sono documentate da una serie di foto allegate alla denuncia, che per ragioni dettate dal rispetto della privacy, oltre che per non ledere la comune sensibilità, non vengono divulgate.
I genitori contestano ai medici di non avere pulito e medicato la stomia, che è il termine tecnico con il quale viene indicato quel genere di ferita post-operatoria, con la necessaria frequenza. La situazione richiede un’altra operazione urgente che, stando alle loro accuse, viene differita di due settimane. L’8 ottobre, Alice si ritrova sotto i ferri per l’ultima volta nella sua brevissima vita. Quattro giorni dopo entra in coma. Il 20 ottobre muore. Una perdita indicibile per i suoi genitori che, solo quattro mesi dopo, trovano la lucidità necessaria a chiedere di fare luce laddove c’è stata solo notte fonda.