Nel 2012 è lo stesso ufficio giudiziario etneo a chiedere l'archiviazione per l'accusa di concorso esterno in associazione mafiosa a carico dell'ex senatore e assessore catanese. Salvo poi ripensarci. Adesso, però, è il giudice Marina Rizza a chiedere di specificare meglio con quali atti Strano avrebbe favorito Cosa nostra e durante quale incarico. Guarda l'infografica
Nino Strano, dalla Procura accuse «generiche» Giudice chiede più dettagli sull’ex senatore e la mafia
«Generici e indeterminati». Con queste parole il giudice per l’udienza preliminare Marina Rizza ha commentato i capi d’imputazione contestati all’ex senatore catanese Nino Strano, accusato di concorso esterno in associazione mafiosa. Lacune che il giudice ha chiesto alla Procura di Catania di colmare con una integrazione della richiesta di rinvio a giudizio presentata nell’ottobre 2014. I punti su cui si chiede maggiore precisione sono quattro e tutti hanno al centro l’attività politica finita al vaglio degli inquirenti. «Strano – si legge nella richiesta iniziale – modulando l’attività della pubblica amministrazione in funzione degli interessi dell’organizzazione» avrebbe apportato un «contributo rilevante e consapevole» all’ala Ercolano della famiglia mafiosa di Cosa nostra catanese. Ma per Rizza resta da capire in maniera più chiara quali atti della pubblica amministrazione sarebbero stati regolati dall’uomo politico e durante quale incarico.
L’ex Senatore viene eletto alla Camera dei Deputati nel 2001 con il partito di Alleanza nazionale di Gianfranco Fini, ricoprendo in contemporanea gli incarichi di assessore al Turismo a Misterbianco prima e a Catania poi, durante la sindacatura di Umberto Scapagnini. Nel 2008, quando cade il governo Prodi, Strano festeggia in aula mangiando alcune fette di mortadella e successivamente viene nominato da Raffaele Lombardo assessore al Turismo alla Regione siciliana, ruolo ricoperto fino al 2010. Per favorire da concorrente esterno la mafia, Strano avrebbe messo a disposizione anche «le proprie conoscenze in cambio di somme di denaro e dell’appoggio elettorale degli affiliati nelle elezioni regionali e nazionali». Di quali conoscenze si è servito? E, ancora, in quali elezioni avrebbe chiesto l’appoggio degli Ercolano? Sono questi gli ultimi due quesiti che il giudice Rizza ha chiesto di chiarire ai sostituti procuratori Agata Santonocito e Antonino Fanara per integrare la richiesta di rinvio a giudizio su cui dovrà poi esprimersi.
Accusatore numero uno di Strano è il collaboratore di giustizia Santo La Causa. L’ex reggente operativo dei Santapaola, pentitosi nel 2012, avrebbe rivelato del presunto «sblocco alle autorizzazioni necessarie» per l’affare
Tenutella – Centro Sicilia. Il centro commerciale, che ricade nel territorio del Comune di Misterbianco, finito al centro dell’inchiesta Iblis. La Causa, tuttavia, «non sa dire cosa fece», anche se qualcuno gli ha fatto capire che «agì anche su altri politici per tale scopo», spiega lo stesso pentito. Per la vicenda Tenutella è stato già condannato a cinque anni, nel processo d’appello, l’ex deputato regionale del Pdl Giovanni Cristaudo. A finire sotto la lente d’ingrandimento – nel troncone separato della stessa inchiesta – era stato un disegno di legge, convertito in legge regionale il 30 ottobre del 2007,che consentiva di superare la decadenza dei termini per la realizzazione del centro commerciale. A replicare alle accuse mosse da La Causa è stato lo stesso Strano, definendo il collaboratore di giustizia «un personaggio ignoto» e bollando il caso come «una cosa che non conosco».
La vicenda processuale che riguarda Nino Strano tuttavia non è nuova a colpi di scena. Nel 2012 è la Procura di Catania ad avanzare una richiesta d’archiviazione che però non viene accolta dal giudice per le indagini preliminari Luigi Barone. Lo stesso che ha disposto l’imputazione coatta per i fratelli autonomisti Raffaele e Angelo Lombardo. Dopo l’inizio della collaborazione di La Causa – trascorsi tre anni dal suo arresto, nel 2009 – si opta per una proroga delle indagini e la conseguente richiesta di rinvio a giudizio, la stessa che adesso deve essere integrata con maggiore precisione dai magistrati. «Il capo d’imputazione non ci ha convinto per niente – spiega a MeridioNews l’avvocato Maria Elisa Aloisi, dopo la lettura dell’ordinanza – non c’erano dei punti specifici, motivo per cui abbiamo scelto di sollevare l’eccezione».