Si è tornato a discutere oggi della variante urbanistica che dovrebbe modificare il volto della Playa. Tra errori nel progetto e un iter burocratico dai contorni non chiari, si inserisce il dubbio dei cittadini che i consiglieri etnei abbiano voluto agevolare gli affari dell'imprenditore-editore-direttore del quotidiano La Sicilia Mario Ciancio
I comitati No Pua presentano un nuovo esposto Presunto abuso d’ufficio del consiglio comunale
Il presunto abuso d’ufficio di alcuni consiglieri comunali, diversi errori nel progetto e una concezione errata dello sviluppo turistico della città di Catania. Sono gli elementi principali della contrapposizione dei cittadini al Pua, il piano urbanistico attuativo variante Catania Sud che dovrebbe stravolgere il volto della Playa etnea. Tra palleggi burocratici Regione-Comune e il silenzio del primo cittadino Enzo Bianco, di cui non sono chiare le intenzioni. Tra le novità principali c’è il nuovo esposto presentato ieri dal comitato No Pua alla Procura etnea, che fa il paio con la denuncia di ottobre. Se il primo esposto riguardava soprattutto il ruolo dell’imprenditore Mario Ciancio – editore e direttore del quotidiano La Sicilia -, proprietario di alcuni terreni su cui dovrebbe svolgersi il piano, il secondo si spinge più avanti e coinvolge il consiglio comunale di Catania.
Ma per capirne il contenuto va fatto un passo indietro e ricapitolare l’iter burocratico del Pua. La prima approvazione arriva nel 2009, «ma viene seguita da un ricorso – per la diminuzione del cemento prevista – della società Stella polare, titolare del progetto, e di un’altra ditta riconducibile a Ciancio», spiega Giolì Vindigni del comitato. Nel 2013 tutto si risolve con l’approvazione da parte dell’amministrazione di Raffaele Stancanelli, ultimo atto della giunta. È la volta delle opposizioni delle associazioni e delle contro-deduzioni del consiglio comunale, stavolta sotto la sindacatura Bianco. Così tutto passa nelle mani del consiglio regionale Urbanistica Cru, organo il cui parere finisce dritto sulla scrivania dell’assessore al Territorio e ambiente, al quale tocca l’approvazione finale. Un ultimo passaggio ancora atteso nel caso del Pua.
Intanto, però, succede che a dicembre il consiglio comunale etneo si riunisce, discute animatamente sul parere del Cru – che con le sue prescrizioni smorza il valore speculativo del piano – e blinda il comparto U, respingendo eventuali modifiche. «Ossia quella parte del progetto in cui Ciancio possiede il 70 per cento dei terreni», continua Vindigni. Ma i consiglieri potevano farlo? Se lo chiedono i legali e gli esperti del comitato No Pua, secondo i quali il consiglio comunale etneo potrebbe pronunciarsi solo dopo il parere dell’assessore. O comunque non in questo modo. «A decidere sarà la Procura della Repubblica – spiega l’avvocato Goffredo D’Antona – ma noi abbiamo chiesto che, qualora non si ravvisasse un reato autonomo dei consiglieri che hanno votato a favore, questa denuncia rafforzi la prima». Cioè quella che ipotizza un ruolo di Mario Ciancio nell’iter del Pua, ritenuto poco pulito sulla base della sentenza che ha condannato per mafia l’ex governatore Raffaele Lombardo.
Ma gli errori del progetto non finirebbero qui secondo il comitato. «Manca lo studio geologico, manca quello agricolo-forestale aggiornato e non vengono considerati i vincoli previsti per la presenza di edifici di interesse storico come le masserie», spiega l’avvocato Nello Papandrea. Sul rischio geologico insiste anche Vindigni, che ricorda come l’area sia stata classificata «a rischio esondazione per la presenza del torrente Arci, nonché a rischio sismico e di liquefazione delle sabbie in caso di terremoto». E va ancora più indietro in questa caccia all’errore l’ingegnere Gianfranco Caudullo: «Il Pua non è nemmeno un piano attuativo, ma una variante al Piano regolatore generale, che è il primo livello urbanistico». Passaggi più o meno burocratici che potrebbero confondere, ma che impallidiscono davanti all’immagine del progetto: palazzi per 35mila metri quadrati; un parco tematico appena più piccolo; un acquario e una pista di go kart da circa ottomila metri quadrati ciascuno; impianti variamente sportivi per diecimila metri quadrati e persino una chiesa. «Tutte queste cose in nessun posto del mondo sono mai potute coesistere insieme – conclude Giolì Vindigni – né creare i posti di lavoro di cui sindacati e associazioni di categoria favoleggiano».